For Women Scotland Ltd vs The Scottish Ministers: l’approdo giurisprudenziale sul riconoscimento giuridico delle persone trans nella prospettiva de jure condendo

Roberta Parigiani, avvocata e portavoce del Movimento Identità Trans (MIT)

Premessa

Il dibattito pubblico, anche di natura internazionale, relativo al pieno riconoscimento del diritto all’autodeterminazione di genere si è negli ultimi anni polarizzato su due visioni contrapposte ed inconciliabili.

Da un lato, è emersa con forza l’esigenza di ribadire quanto alla scrivente sembra ovvio, ovvero che le donne (o gli uomini) transgender siano “donne” (o “uomini”) a tutti gli effetti, anche sul piano giuridico e di tutela rispetto alle normative antidiscriminatorie[1]; dall’altro è invece emersa una visione – minoritaria ma rumorosa – che vorrebbe invece discriminare le soggettività trans negando alle persone il diritto di affermare o tutelare normativamente con pienezza la propria identità genere[2].

In tale scenario, la Corte Suprema inglese era stata adita da una associazione britannica di matrice trans-escludente (la For Women Scotland Ltd) al fine di stabilire se le normative antidiscrimatorie di genere vigenti nel Regno Unito riconoscessero o meno le persone trans come membri effettivi del genere di elezione, tutelandole di conseguenza, oppure – al contrario – fossero pensate esclusivamente in una ottica cisgender e trans-escludente.

La Suprema Corte, con pronuncia dello scorso 16 aprile, è giunta a sostenere che le normative di tutela antidiscriminatoria vigenti nel Regno Unito e, segnatamente, contenute nel c.d. Equality Act del 2010 (abbreviato in EA 2010) abbracciano una visione “biologica” del genere, dove le “donne” tutelate sono unicamente le donne cisgender.

Stante la summenzionata emergenza di posizioni trans-escludenti, è del tutto chiaro che tale pronuncia sia entrata a gamba tesa nel dibattito pubblico, ricevendo un’eco mediatico inedita[3].

La pronuncia emessa dalla Suprema Corte del Regno Unito nel caso “For Women Scotland Ltd vs The Scottish Ministers” del 16 Aprile 2025, pertanto, è stata salutata (anche) da molti media nostrani[4] come la base giuridica definitiva a supporto di posizioni politiche (e giuridiche) trans-escludenti, per le quali le donne transgender non dovrebbero essere effettivamente ritenute “donne”, in funzione di una insopprimibile realtà biologica che ancòra il genere al cosiddetto “sesso biologico[5].

Nel dettaglio, come anticipato, la pronunzia in questione partiva dalla necessità di “effettuare un’attenta analisi delle disposizioni dell’EA (Equality Act) 2010[6] per decidere se esse indichino che si intende un significato biologico del sesso e/o che una definizione certificata del sesso renderebbe tali disposizioni incoerenti o assurde [e antidiscriminatorie]” (comunicato stampa della Suprema Corte a sintesi dei capi 159-161 della sentenza); giungendo in conclusione a sostenere che:  “Il significato dei termini “sesso”, “uomo” e “donna” nell’AE 2010 si riferisce al sesso biologico, poiché qualsiasi altra interpretazione renderebbe l’EA 2010 incoerente e impraticabile da gestire. Pertanto, una persona con un GRC[7] di sesso femminile non rientra nella definizione di “donna” ai sensi dell’EA 2010 e la guida statutaria emessa dai Ministri scozzesi non è corretta” (comunicato stampa della Suprema Corte a sintesi dei capi 264-266 della sentenza).

In sostanza, appare chiaro il motivo ideologico che ha indotto quella parte dell’opinione pubblica ostile alle soggettività trans a salutare la pronuncia (effettivamente dirompente nella sua applicazione pratica), come il “nuovo” orientamento con cui “La Corte Suprema dà ragione alle femministe”[8] e dunque la “rivincita” delle posizioni trans-escludenti giunto in esito ed in recepimento alle lotte di costoro per ottenere la discriminazione delle persone trans.

Ciò premesso, partendo dall’ovvia considerazione rispetto alla pericolosa inopportunità di siffatto arresto, occorre però vagliare se la sentenza sia effettivamente l’espressione di una nuova “sensibilità” giuridica escludente e potenzialmente capace di trascendere le normative nazionali per estendersi anche in altri ordinamenti (come il nostro)[9]; oppure, al contrario, se la pronuncia in questione sia la mera interpretazione letterale di un corpus normativo nazionale vecchio e lacunoso ab origine, smentendo quindi con forza chi sostiene che la Corte Suprema abbia “accolto” le battaglie trans-escludenti degli ultimi anni e che, anzi, la lettura escludente del testo normativo dovrebbe indurre ad un ripensamento sostanziale di quest’ultimo.

Le peculiarità del procedimento di affermazione di genere in UK

Il Regno Unito consente alle persone transgender di procedere alla rettificazione dei dati anagrafici   relativi a nome e genere (nel cosiddetto Gender Recognition Certificate, abbreviato in “GRC”) attraverso le disposizioni contenute nel Gender Recogniction Act entrato in vigore nel 2004 (abbreviato in “GRA 2004”).

In base alla norma in questione la persona transgender può ottenere un Gender Recognition Certificate attraverso un percorso amministrativo incardinabile (presso un organo indipendente, il Gender Recognition Panel) a partire dai 18 anni, nell’ambito del quale è compito dell’autorità accertare (attraverso adeguata documentazione anche medica) il fatto che la persona richiedente abbia vissuto nel genere elettivo per almeno due anni nonché l’intenzione di continuare a vivere nel genere elettivo in modo permanente.

In caso di esito positivo dell’istruttoria, il Panel emette un certificato che attesta il genere della persona “per tutti gli scopi”, lasciando però aperta la possibilità che in alcuni casi specifici tale mutamento non abbia efficacia in funzione di differenti disposizioni di legge: ad esempio, il GRA 2004 stesso dispone la non applicabilità dei mutamenti anagrafici per una serie di contesti specifici, quali ad esempio il regime delle successioni[10] la discendenza di titoli nobiliari[11] ecc., così come la non applicabilità per status quali quello relativo alla genitorialità[12] o l’ambito di applicazioni di disposizioni normative relative a delitti commessi in relazione al genere[13].

Altra interessante esclusione esplicita è, poi, quella relativa alla partecipazione agli sport ove il genere abbia – per la norma – una specifica rilevanza[14]. In questo caso, nel dettaglio, la circostanza di rilievo è costituita dal fatto che la specifica sezione del GRA contiene al suo interno un rinvio ad un’altra disposizione, ovvero il Sex Discrimination Act del 1975, disposizione a sua volta finalizzata alla creazione di una rete di tutele antidiscriminatorie in funzione del sesso e che, come vedremo, sarà più volte richiamata nell’ambito della sentenza in questione. Nel merito (ed in estrema sintesi), stando alla Sezione 19 del GRA 2004, “un organismo responsabile di regolamentare la partecipazione di persone come concorrenti a un evento o a eventi che coinvolgono uno sport di genere può, […] vietare o limitare la partecipazione come concorrenti all’evento o agli eventi di persone il cui genere è diventato il genere acquisito ai sensi della presente legge[15]” laddove ciò renda la competizione sleale o pericolosa ma, in ogni caso, tale disposizione non pregiudica l’applicazione della sezione 44 del  Sex Discrimination Act del 1975, in funzione del quale nessuna norma antidiscriminatoria di tutela di genere di cui all’anzidetto corpus normativo può interpretarsi come impeditiva circa l’emanazione di misure di salvaguardia di genere negli sport divisi limitati a concorrenti di un solo sesso[16].

Tutto quanto sopra considerato è necessario rilevare due circostanze fattuali che, come vedremo, sono state cruciali per la pronuncia in questione, ma che si pongono  in contrapposizione rispetto ad analoghe disposizioni dell’ordinamento italiano:

1) da un lato, il GRA 2004 non prevede una completa equiparazione del genere attribuito in forza di un GRC con quello assegnato alla nascita, tanto da menzionare numerose eccezioni all’efficacia della “rettificazione“ del dato di genere;

2) dall’altro, il GRA 2004 compie già nell’ambito delle proprie disposizioni un espresso rinvio ad una norma terza di tutela dalle discriminazioni di genere (come, appunto il Sex Discrimination Act del 1975), intendendo quest’ultima quale disposizione eccezionale circa l’applicazione del GRC stesso.

Si tornerà su questi punti infra, ma risulta già da ora palese che la pronuncia della Corte Suprema non abbia di per sé introdotto uno scenario completamente nuovo: se il GRA 2004 includeva coerentemente delle eccezioni all’applicazione dei GRC in funzione di specifiche esigenze, vuol necessariamente dire che una qualche forma di differenziazione in chiave “biologicista” è sempre stata presente all’interno della norma. Ciò, in un’ottica comparatistica, costituisce una profondissima differenza rispetto al procedimento nostrano di affermazione di genere previsto dalla L. 164/82 e disciplinato dall’articolo 31 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.150, i quali non si pongono neanche il dubbio che l’avvenuta affermazione di genere abbia effettivamente valenza universale, posto che sul punto la norma si limita solo a statuire che “con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale ordina all’ufficiale di stato civile del comune dove è stato compilato l’atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro”[17].

La pronuncia della Corte Suprema

Venendo alla pronuncia della Suprema Corte, è chiaro intanto – per quanto sopra accennato – il contesto che la Suprema Corte ha incontrato nel momento in cui è stata chiamata alla propria valutazione: una cornice in cui il GRA 2004 già di per sé enuncia eccezioni all’applicazione del GRC in funzione di considerazioni “biologiche”.

Non stupisce allora che, adita nel caso di specie al fine di stabilire se le tutele di genere previste dall’EA 2010, in riferimento ai termini quali “sesso”, “uomo”, “donna”, “maschio “ e “femmina”[18] ricomprendessero anche le persone transgender (oppure si riferissero solo alle persone cisgender) la Corte Suprema abbia ritenuto che “Una persona con un GRC di genere femminile non rientra nella definizione di “donna” ai fini della discriminazione sessuale di cui all’articolo 11 dell’EA 2010”[19] non facendo altro che individuare un’ulteriore eccezione all’applicazione del GRC in funzione di considerazioni biologiche analoga a quelle già esistenti e vigenti nell’ambito del GRA 2004[20]. Del resto, secondo la Corte, anche per altre circostanze “l’effetto della norma dell’articolo 9(1) [la rettificazione di genere] sulle numerosissime leggi che si riferiscono a uomini e donne, emanate prima o dopo il GRA 2004, deve essere attentamente considerato alla luce della formulazione, del contesto e della politica della legge in questione[21].

E proprio la Corte, in motivazione, ricapitola la norma per l’affermazione di genere come una disposizione che esplica i propri effetti “a meno che non vi sia un’eccezione specifica nel GRA 2004 stesso o a meno che i termini e il contesto di un’emanazione, inclusa un’emanazione successiva, dimostrino che vi è una ‘disposizione presa’ da quell’emanazione ai sensi dell’articolo 9(3)[22] che nega l’effetto dell’articolo 9(1)[23]. In altre parole, l’articolo 9(1) si applica a meno che non si applichi l’articolo 9(3). L’articolo 9(3) si applicherà ovviamente se il GRA 2004 o un atto successivo lo prevede espressamente. Ma non è necessaria una disapplicazione esplicita dell’articolo 9(1), come abbiamo spiegato. L’articolo 9(3) si applicherà anche quando i termini, il contesto e lo scopo dell’atto normativo in questione dimostrano che è così, a causa di una chiara incompatibilità o perché le sue disposizioni sono rese incoerenti o inattuabili dall’applicazione della regola dell’articolo 9(1)[24].

In definitiva, a tutta evidenza, appare indubbio che la statuizione sia assolutamente escludente (e non condivisibile): ma appare altrettanto certo che l’approdo cui è giunta la Suprema Corte non sia innovativo nell’ambito dell’impostazione straniera, già abituata a prevedere – come visto – plurime eccezioni alla validità dei GRC in funzione di valutazioni o considerazioni biologiche di “opportunità”.

Appare quindi del tutto fuorviante aver attribuito alla sentenza in commento il peso politico che molta stampa le ha conferito, posto che non fa altro che estendere uno (sgradevole) limite preesistente all’applicazione di una norma, che già in nuce aveva la lacuna di distinguere incomprensibilmente le persone transgender da quelle cisgender in funzione di considerazioni biologiche.

Sui profili comparativi

Alla luce di quanto sopra appare agevole escludere, allo stato dei fatti, la possibilità che analoghe visioni possano orientare considerazioni nostrane. Ciò, in quanto è del tutto differente l’assetto normativo.

Non sfugge difatti che, sebbene la norma italiana (ovvero, la L. 164/82 e la successiva disciplina confluita  nell’articolo 31 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.150) abbia gravi ed evidenti limiti in termini di funzionamento pratico[25], anche in funzione di limiti ordinamentali e giurisprudenziali[26], l’apparente non conoscenza da parte del legislatore (e della giurisprudenza) della distinzione tra genere e sesso ha fatto sì che i concetti siano divenuti sovrapponibili ed indistinguibili.

Non pochi sono infatti i casi in cui il legislatore e la giurisprudenza utilizzano il termine “sesso” per indicare il “genere”: persino la medesima legge n. 164/82 è del resto rubricata “Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso” nonostante sia evidente che il lemma doveva invero leggersi nel significato di “genere”, soprattutto da quando è stato prudenzialmente superato l’obbligo chirurgico di mutamento dei caratteri sessuali primari quale precondizione per la rettificazione anagrafica[27].

Né, del resto, l’efficacia della rettificazione del marcatore di genere subisce in Italia eccezioni in considerazione di previsioni normative; al contrario, una volta annotato l’atto di nascita italiano, diviene virtualmente impossibile effettuare la specifica distinzione che invece compie l’ordinamento del Regno Unito. Sul punto, si pensi che persino il Sistema Sanitario Nazionale (per il quale sarebbe invece ragionevole pensare ad una conoscenza di dati biologici necessari per trattamenti sanitari) non è assolutamente in grado di conoscere se una persona sia cisgender o transgender.

Conclusivamente, deve ritenersi che la sentenza del Regno Unito, nella sua chiara radice conservatrice e letterale, non ha indotto un ripensamento circa le categorie di genere e identitarie delle persone transgender, ma abbia sfortunatamente inteso leggere nell’EA 2010 quegli stessi limiti che erano già ampiamente presenti e prospettati sin da subito nell’ambito del GRA 2004.

Una tale visione non dovrebbe contaminare ordinamenti esterni come quello italiano che, nella loro sostanziale “arcaicità”, non apprezzano un ragionamento che distingue tra sesso e genere, non rendendo quindi nei fatti possibile applicare eccezioni di scopo al mutamento del marcatore di genere una volta che questo sia stato disposto con sentenza passata in giudicato.

Affermare che la pronuncia della Corte Suprema avrà – in concreto – una portata discriminatoria nuova ed estesa è senz’altro vero: ma ciò, non in funzione di una innovazione escludente della lettura giuridica, quanto piuttosto in funzione di storiche lacune normative preesistenti che, proprio alla luce della disposizione, dovrebbero semmai essere lette in chiave critica, come un incentivo a ripensare l’ordinamento intero.

Sostenere che la sensibilità giuridica corrente si sia cristallizzata su un approdo trans-escludente è, in sostanza, assolutamente falso: v’è semmai da ripensare in chiave trans-inclusiva un corpus normativo datato – tanto in UK quanto in Italia – proprio al fine di abbracciare quanto più possibile la complessità e la legittimità delle esperienze di genere di ogni persona.


[1] Si veda, a titolo di esempio, la recente manifestazione avvenuta a Londra, in replica alla strumentalizzazione fatta sulla sentenza in commento, partita proprio dalla considerazione apparentemente ovvia per la quale “le donne trans sono donne”: https://www.gay.it/le-donne-trans-sono-donne-migliaia-in-piazza-a-londra-dopo-la-sentenza-della-corte-suprema;

[2]Si vedano, a titolo di esempio, le parole del Primo Ministro britannico: https://www.bbc.com/news/articles/crldey0z00ro; così come gli ordini esecutivi emanati dal Presidente USA: https://www.hrw.org/news/2025/01/23/trump-administration-moves-reject-transgender-identity-rights o le affermazioni della Ministra italiana (paradossalmente) per le Pari Opportunità: https://www.vanityfair.it/article/ministra-roccella-no-a-forzature-gender-si-e-maschi-o-si-e-femmine

[3]“U.K. Top Court Says Trans Women Are Not Legally Women Under Equality Act”: https://www.nytimes.com/2025/04/16/world/europe/uk-supreme-court-woman-definition-trans.html

“In landmark ruling, UK’s top court says legal definition of woman refers to biological sex”: https://www.reuters.com/world/uk/uks-highest-court-rule-definition-woman-under-equality-laws-2025-04-15/

[4]“Il Regno Unito chiude ai trans, ‘è donna solo chi nasce donna’”https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/04/16/la-corte-suprema-britannica-nega-alle-persone-transgender-la-definizione-di-donne_6ea56a5a-749c-4591-acc7-f292ca61e888.html

[5] Per un esempio di queste posizioni si rinvia a: “La ministra Roccella: «I maschi in transizione non possono avere le nostre stesse tutele»” su Corriere della Sera, raggiungibile al link https://roma.corriere.it/notizie/politica/25_aprile_17/rroccella-trans-4379a005-a7aa-4339-a459-49c84e933xlk.shtml

[6] Si tratta dell’Equality Act, norma del 2010 finalizzata a individuare forme di tutela antidiscriminatorie e tesa, in parte, anche ad aggiungere ed implementare le tutele già previste del Sex Discrimination Act del 1975;

[7] Gender Recognition Certificate inglese, che si ottiene alla fine del percorso di affermazione e con su scritto il genere di elezione.

[8]https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/04/16/la-corte-suprema-britannica-nega-alle-persone-transgender-la-definizione-di-donne_6ea56a5a-749c-4591-acc7-f292ca61e888.html

[9]Come vorrebbero certe visioni trans-escludenti, note anche in Italia. Si veda, ad esempio, l’appello lanciato dalla associazione ProVita: “Bene la Corte UK su definizione di “donna”. L’Italia prenda coraggio contro l’ideologia Lgbthttps://www.provitaefamiglia.it/blog/bene-la-corte-uk-su-definizione-di-donna-litalia-prenda-coraggio-contro-lideologia-lgbt

[10] GRA 2004 Sezione 15: “The fact that a person’s gender has become the acquired gender under this Act does not affect the disposal or devolution of property under a will or other instrument made before the appointed day”;

[11] GRA 2004 Sezione 16;

[12] GRA 2004 Sezione 12: “The fact that a person’s gender has become the acquired gender under this Act does not affect the status of the person as the father or mother of a child”.

[13] GRA 2004 Sezione 20;

[14] GRA 2004 Sezione 19;

[15]A body responsible for regulating the participation of persons as competitors in an event or events involving a gender-affected sport may, if subsection (2) is satisfied, prohibit or restrict the participation as competitors in the event or events of persons whose gender has become the acquired gender under this Act.
(2)This subsection is satisfied if the prohibition or restriction is necessary to secure—
(a)fair competition, or
(b)the safety of competitors,
at the event or events.
(3)“Sport” means a sport, game or other activity of a competitive nature.
(4)A sport is a gender-affected sport if the physical strength, stamina or physique of average persons of one gender would put them at a disadvantage to average persons of the other gender as competitors in events involving the sport.
(5)This section does not affect—
(a)section 44 of the Sex Discrimination Act 1975 (c. 65) (exception from Parts 2 to 4 of that Act for acts related to sport), or (b)Article 45 of the Sex Discrimination (Northern Ireland) Order 1976 ( S.I. 1976/1042 (N.I. 15)) (corresponding provision for Northern Ireland)”.

[16] Sex Discrimination Act 1975, sezione 44: “nothing in Parts II to IV shall, in relation to any sport, game or other activity of a competitive nature where the physical strength, stamina or physique of the average woman puts her at a disadvantage to the average man, render unlawful any act related to the participation of a person as a competitor in events involving that activity which are confined to competitors of one sex”.

[17] D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art 31 comma 5;

[18] Capo 8 della sentenza: “8. The legislation with which this appeal is principally concerned is the EA 2010 and we address the effect, if any, of the GRA 2004 on the interpretation of the terms “sex”, “man”, “woman”, and “male” and “female” used in the EA 2010. The central question on this appeal is whether the EA 2010 treats a trans woman with a GRC as a woman for all purposes within the scope of its provisions, or when that Act speaks of a “woman” and “sex” it is referring to a biological woman and biological sex.”

[19] Capo 77 della sentenza: “266. For all these reasons, we conclude that the Guidance issued by the Scottish Government is incorrect. A person with a GRC in the female gender does not come within the definition of “woman” for the purposes of sex discrimination in section 11 of the EA 2010”.

[20] GRA 2004 Sezione 19 ed anche capo 77 della sentenza: 77. “The GRA 2004 also expressly excepted particular matters, providing that they were not to be affected wholly or in part by the grant of the GRC. Succession, the descent of peerages, the administration of trusts and the disposition of property under a will were effectively excepted from the regime by sections 15 to 18. Other exceptions, some of which remain in force, were provided for as follows: (a) Section 12 provided that the fact that a person’s gender has become the acquired gender does not affect the status of the person as the father or mother of a child. (b) Section 19 provided that a person may be excluded from participating as a competitor in a “gender-affected sport” if that was necessary to secure fair competition or the safety of competitors. A “gender-affected sport” was defined as one where “the physical strength, stamina or physique of average persons of one gender would put them at a disadvantage to average persons of the other gender as competitors in events involving the sport.” (c) Section 20 provided that the receipt of a GRC did not prevent a person from being convicted of a gender-specific offence which can be committed only by a person of their biological gender or from being a victim of an offence of which only people of their biological gender can be victims”.

[21]Capo 108 della sentenza: “[…] We note only that the effect of the rule in section 9(1) on the very many statutes referring to men and women, whether enacted before or after the GRA 2004, must be carefully considered in the light of the wording, context and policy of the statute in question. It is likely to be unhelpful for the coherence of the law to impose a stringent test for the application of section 9(3)”.

[22] GRA 2004, art 9,3 “Subsection (1) is subject to provision made by this Act or any other enactment or any subordinate legislation

[23]GRA 2004, art 9,1 “Where a full gender recognition certificate is issued to a person, the person’s gender becomes for all purposes the acquired gender (so that, if the acquired gender is the male gender, the person’s sex becomes that of a man and, if it is the female gender, the person’s sex becomes that of a woman)

[24] Capo 156 della sentenza: “To recap, section 9(1) of the GRA 2004, read with section 9(2) and (3), has the effect that the gender of a person with a GRC becomes the acquired gender “for all purposes” so that “if the acquired gender is the male gender, the person’s sex becomes that of a man and, if it is the female gender, the person’s sex becomes that of a woman”, unless there is a specific exception in the GRA 2004 itself or unless the terms and context of an enactment, including a subsequent enactment, demonstrate that there is “provision made” by that enactment pursuant to section 9(3) that negates the effect of section 9(1). In other words, section 9(1) applies unless section 9(3) applies. Section 9(3) will obviously apply where the GRA 2004 or subsequent enactment says so expressly. But express disapplication of section 9(1) is not necessary as we have explained. Section 9(3) will also apply where the terms, context and purpose of the relevant enactment show that it does, because of a clear incompatibility or because its provisions are rendered incoherent or unworkable by the application of the rule in section 9(1)”.

[25] Molto si è scritto sul punto, ma si rimanda ad una valutazione compiuta da Nausica Palazzo in “Terre di mezzo e mine vaganti: il riconoscimento giuridico del genere della persona trans”, GenJus anno VIII, numero 1: novembre 2021

[26] Come già dalla scrivente sostenuto in “Corpi, prassi e pratiche alla luce della sentenza 143/2024 della Corte costituzionale”, BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 3/2024

[27] Corte costituzionale,  sentenza n. 221/2015  e già anche Corte di Cassazione, sentenza  n. 15138 del 2015.