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Rassegna sul Reato di Molestia o disturbo alle persone, art. 660 c.p. Aggiornamento a febbraio 2025

La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione sul reato di “Molestia o disturbo alle persone” (art. 660 c.p.). Le pronunce citate sono state selezionate tra le sentenze depositate sul tema tra novembre 2024 e febbraio 2025, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.

  • “Molestie telefoniche: anche i messaggi WhatsApp integrano il reato ex art. 660 c.p.”

Costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi SMS o messaggi WhatsApp, in quanto il reato di cui all’art. 660 cod. pen. mira a prevenire il turbamento della tranquillità pubblica attuato mediante l’offesa alla quiete privata e non alla libertà di comunicazione del destinatario dell’atto molesto o di disturbo”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 31/01/2025) 27/02/2025, n. 8232, la Corte è stata chiamata a giudicare un caso in cui l’imputato è stata condannato per il reato di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), per aver inviato numerosi messaggi WhatsApp all’ex coniuge utilizzando le SIM dei figli minori, arrecandogli molestia.

L’imputato ha proposto ricorso lamentando l’insussistenza del reato di molestia, in quanto i messaggi erano in risposta a inadempimenti dell’ex coniuge sugli obblighi verso i figli e vi era reciprocità di condotte moleste.

La Corte ha rigettato il ricorso e confermato il reato di molestia telefonica (art. 660 c.p.), poiché ha ritenuto provato l’elevato numero di messaggi (anche 30 al giorno), il contenuto molesto e offensivo degli stessi, l’utilizzo strumentale dei figli minori per inviarli e l’invasività del mezzo, con impossibilità per la vittima di bloccare i numeri senza pregiudicare i rapporti con i figli.

La Corte di Cassazione, confermando la sussistenza del reato di molestia ex art. 660 cod. pen., ha ricordato che ai fini della sua configurabilità, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita.

Si è affermato che costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi SMS o messaggi WhatsApp, in quanto il reato di cui all’art. 660 cod. pen. mira a prevenire il turbamento della tranquillità pubblica attuato mediante l’offesa alla quiete privata e non alla libertà di comunicazione del destinatario dell’atto molesto o di disturbo.

  • Molestia ex art. 660 c.p.: rileva l’intrusione nella sfera personale, indipendentemente dal contenuto specifico.

“Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen., è sufficiente un’effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale, tale da integrare una molestia o un disturbo, a prescindere dal contenuto specifico della comunicazione o della condotta”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 30/10/2024) 28/01/2025, n. 3399, la Corte è investita di un caso di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.).
L’imputato aveva seguito la persona offesa (vicina di casa con cui aveva forti contrasti), mentre era in auto, fissandola insistentemente con aria minacciosa e riprendendola con il cellulare.
La difesa ha impugnato la sentenza, deducendo l’errata valutazione delle prove e travisamento delle dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni. La Corte giudica il ricorso inammissibile, ribadendo che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen., è sufficiente un’effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale, tale da integrare una molestia o un disturbo, a prescindere dal contenuto specifico della comunicazione o della condotta.

Nel caso concreto, la Corte d’Appello ha valorizzato la condotta silente e insistente dell’imputato, che ha seguito la persona offesa mentre era alla guida, fermandosi dietro di lei, fissandola per circa dieci minuti con aria minacciosa e autoriprendendosi con il cellulare. Proprio questa registrazione è stata interpretata dalla Corte come una prova indiretta dell’azione molesta, poiché il comportamento mostrava la volontà deliberata di precostituirsi una prova difensiva, consapevole della molestia che stava realizzando.

  • Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e il reato di molestie

“Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e il reato di molestie (art. 660 c.p.) risiede nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta.
Infatti, mentre per lo stalking è necessario che le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o l’alterazione delle proprie abitudini di vita, per il reato di molestie ex art. 660 c.p. è sufficiente che le condotte si limitino ad infastidire la vittima e ad arrecarle turbamento”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 11/10/2024) 21/01/2025, n. 2407, la Corte giudica un caso molto complesso. La Corte d’appello aveva assolto l’imputato per il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) poiché pur ammettendo che le sue condotte abbiano infastidito la persona offesa, non è emersa la prova che esse abbiano determinato un perdurante e grave stato di ansia o paura, né un’alterazione delle abitudini di vita, elementi essenziali per configurare il reato di stalking.
Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza per mancata riqualificazione della condotta nel meno grave reato di molestie (art. 660 c.p.), ritenendo che gli episodi abbiano comunque provocato turbamento, ansia e frustrazione nella vittima. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso perché il Procuratore Generale non si è confrontato adeguatamente con la giurisprudenza consolidata, secondo cui per configurare l’art. 660 c.p. è necessaria una condotta ispirata da petulanza o da biasimevole motivo, che non è stata dimostrata. Lo stato di prostrazione o esasperazione è stato escluso dalla Corte d’Appello e il ricorso non ha fornito argomenti concreti per sovvertire tale accertamento di merito.

La Corte di Cassazione ribadisce che il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e il reato di molestie (art. 660 c.p.) risiede nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta.
Infatti, mentre per lo stalking è necessario che le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o l’alterazione delle proprie abitudini di vita, per il reato di molestie ex art. 660 c.p. è sufficiente che le condotte si limitino ad infastidire la vittima e ad arrecarle turbamento.

La sentenza precisa inoltre che, per integrare la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., è necessario che l’atto molesto sia sgradito a chi lo riceve oppure sia ispirato da un biasimevole motivo o caratterizzato da petulanza, cioè da un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata altrui.

  • “Molestia ex art. 660 c.p.: è sufficiente l’intrusione indebita”

Con la sentenza Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 06/11/2024) 14/01/2025, n. 1529, la Corte è investita di un caso che vede come protagonista un operatore presso una residenza per anziani. Le condotte contestate sono violenza sessuale continuata (artt. 81 e 609-bis c.p.) nei confronti di una collega di lavoro, mediante palpeggiamenti, abbracci e sfregamenti e atti persecutori (art. 612-bis c.p.) consistiti in minacce e molestie ripetute, tali da alterare le abitudini di vita della vittima. La Corte d’Appello riconosce le attenuanti generiche e l’ipotesi attenuata di violenza sessuale (art. 609-bis, co. ultimo, c.p.) e riqualifica il reato di atti persecutori in quello di molestie (art. 660 c.p.), ritenendo che le condotte moleste abbiano generato un semplice disturbo e non il grave stato d’ansia richiesto dall’art. 612-bis c.p.

Tra i motivi del ricorso per Cassazione, l’imputato lamenta l’errata applicazione dell’art. 660 c.p., poiché le condotte non sarebbero state poste in essere tramite telefono e la struttura lavorativa non sarebbe luogo pubblico. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e conferma la riqualificazione del reato, ribadendo che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 cod. pen., è sufficiente una condotta che, per il suo contenuto molesto e per le modalità intrusive con cui viene posta in essere, determina una significativa e indebita intrusione nella sfera personale della vittima.

Inoltre, ha chiarito che le molestie rilevanti ai sensi dell’art. 660 c.p. non devono necessariamente realizzarsi mediante il solo utilizzo del telefono, ma possono consistere in qualsiasi condotta molesta e petulante, purché avvenga in un luogo pubblico o aperto al pubblico. A tal riguardo, la Corte ha ricordato che una casa di cura, in quanto accessibile a più persone, è qualificabile come luogo aperto al pubblico. Infine, la sentenza ribadisce che le molestie di cui all’art. 660 c.p. non richiedono la prova di uno stato di ansia o paura (tipico dell’art. 612-bis c.p.), ma è sufficiente che la condotta sia idonea a provocare fastidio, disturbo o disagio nella persona offesa.

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