Rassegna sul Reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi, art. 572 c.p. – Aggiornamento a febbraio 2025
La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione sul reato di “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” (art. 572 bis c.p.). Le pronunce sono state selezionate tra le sentenze depositate tra novembre 2024 e febbraio 2025 in materia, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini e Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.
- Maltrattamenti in famiglia e obbligo di percorsi di recupero per l’imputato nei reati di violenza domestica
“La sospensione condizionale della pena per il reato di maltrattamenti, ai sensi dell’art. 572 cod. pen., deve essere obbligatoriamente subordinata alla partecipazione dell’imputato a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per tali reati, come stabilito dall’art. 165, quinto comma, cod. pen. introdotto dalla L. n. 69 del 2019. La mancata imposizione di tali obblighi rende la concessione della sospensione condizionale della pena illegittima”.
La Corte di Cassazione con la sentenza Cass. pen., Sez. VI, Sent., (data ud. 03/10/2024) 07/11/2024, n. 40888, esamina la sentenza del Tribunale di Cremona che ha condannato l’imputato per maltrattamenti ai danni della moglie e dei tre figli minorenni, riconoscendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena, ma senza subordinare tale beneficio alla partecipazione a specifici percorsi di recupero, come previsto dall’art. 165, quinto comma, c.p. (norma introdotta dalla Legge n. 69/2019, cd. “Codice Rosso”).
Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza contestando proprio l’omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione ai percorsi di recupero, obbligatoria nei casi di condanna per maltrattamenti. La Corte accoglie il ricorso, stabilendo chela sospensione condizionale della pena nei reati di violenza domestica, tra cui i maltrattamenti (art. 572 c.p.), deve essere subordinata all’obbligatoria partecipazione a percorsi di recupero presso enti specializzati, come previsto dall’art. 165, quinto comma, c.p. La condotta abituale di maltrattamenti si è protratta sia prima che dopo l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dalla Legge n. 69/2019 (c.d. “Codice Rosso”), con cessazione dell’abitualità solo dopo l’aprile 2021, data di uno degli episodi oggetto di contestazione. La Corte di Cassazione ribadisce che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, nei reati abituali il momento consumativo coincide con la cessazione dell’abitualità. Pertanto, nei casi in cui la condotta si sia sviluppata sotto due differenti regimi normativi, la sanzione applicabile è quella vigente alla data di cessazione della condotta criminosa, anche se sfavorevole rispetto alla disciplina precedente (richiamando espressamente: Sez. 6, n. 23024 del 12/03/2024; Sez. 5, n. 3427 del 19/10/2023, dep. 2024; Sez. 6, n. 21998 del 5/05/2023). Proprio alla luce di questa protrazione temporale della condotta di maltrattamenti, la Cassazione ha chiarito che il reato rientra a pieno titolo nel campo di applicazione dell’art. 165, quinto comma, c.p. La Corte ribadisce che l’obbligo dei percorsi di recupero ha una forte valenza rieducativa e preventiva, in linea con la Convenzione di Istanbul e con la normativa europea (Direttiva UE 2024/1385). Il percorso deve essere individualizzato, tarato sul caso specifico, e deve essere scelto dal giudice di merito, non dall’UEPE (Ufficio esecuzione penale esterna). Infine, il percorso deve iniziare solo dopo la definitività della sentenza e con un termine massimo fissato dal giudice stesso. La Corte dispone quindi l’annullamento parziale della sentenza di condanna limitatamente alla sospensione condizionale della pena.
- L’aggravante dell’uso di armi nei maltrattamenti
“In tema di maltrattamenti contro familiari o conviventi, l’aggravante dell’uso di arma, di cui all’art. 572, comma secondo, cod. pen., si configura anche in caso di uso meramente occasionale o isolato, in quanto comunque espressivo di un maggior disvalore della condotta”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. VI, Sent., (data ud. 16/09/2024) 25/09/2024, n. 35859, La Corte ha giudicato un caso di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e lesioni aggravate (art. 582 c.p.).
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi. Il primo concerne l’erronea applicazione dell’aggravante dell’uso di armi (martello e spranga di ferro), in quanto l’uso sarebbe stato episodico e non sistematico, e in condizioni di grave debilitazione fisica. Il secondo motivo riguarda il mancato esame della richiesta di sanzione sostitutiva (lavoro di pubblica utilità o detenzione domiciliare ex art. 20-bis c.p.), presentata in udienza con relativa documentazione. La corte rigetta il primo motivo di ricorso e conferma la sussistenza dell’aggravante. La Corte ha infatti accertato che l’imputato aveva usato una spranga di ferro e un martello per percuotere e intimorire la persona offesa. La difesa aveva sostenuto che il martello non fosse stato effettivamente usato per colpire, ma solo mostrato e appoggiato sulla testa della vittima durante una lite. La Corte ha però ribadito che non è necessario che l’arma venga concretamente utilizzata per ferire: l’aggravante sussiste anche quando l’arma è impiegata per minacciare e intimorire, poiché tale utilizzo amplifica la portata intimidatoria e la capacità di sopraffazione della condotta maltrattante. Inoltre, la sentenza precisa che sia la spranga, sia il martello rientrano pienamente nella nozione di arma, che include qualsiasi strumento atto a offendere e il cui porto è vietato senza giustificato motivo. Anche un uso occasionale di un’arma è sufficiente ad integrare l’aggravante, poiché incide sul disvalore complessivo delle condotte maltrattanti. Non è richiesta una sistematicità dell’uso dell’arma, essendo sufficiente l’abitualità dei maltrattamenti. Accoglie invece il secondo motivo argomentando che la Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare e motivare sulla richiesta di sanzione sostitutiva, come previsto dall’art. 20-bis c.p. e dalla disciplina transitoria della riforma Cartabia. L’omessa risposta costituisce un vizio di motivazione. Per questi motivi annulla la sentenza limitatamente alla mancata valutazione delle sanzioni sostitutive, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello.
- Riqualificazione da maltrattamenti a reati episodici: rilevanza della non abitualità delle condotte
La Corte con la sentenza Cass. pen., Sez. VI, Sent., 27-02-2025, n. 8210, si occupa di un caso di maltrattamenti in famiglia. La vicenda processuale è così scandita: la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la condanna di primo grado nei confronti dell’imputata, inizialmente ritenuta responsabile di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) ai danni del compagno. La Corte ha riqualificato i fatti contestati riconducendoli a singoli episodi di minaccia (art. 612 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), disturbo delle occupazioni e del riposo (art. 659 c.p.) e lesioni personali tentate e consumate (artt. 56, 582, 585 c.p.), riducendo la pena a cinque mesi di reclusione con sospensione condizionale. Il Procuratore Generale ha impugnato la decisione dinanzi alla Cassazione, lamentando un vizio di motivazione per la riqualificazione del reato. In particolare, ha sostenuto che la Corte d’appello non avrebbe motivato adeguatamente sull’assenza dello stato di prostrazione della persona offesa e avrebbe ignorato il consolidato orientamento secondo cui il reato di maltrattamenti può configurarsi anche in presenza di reciprocità delle condotte violente. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendolo generico e privo di confronto critico con la motivazione della sentenza di appello. La Corte d’appello, infatti, aveva correttamente valorizzato l’episodicità delle condotte dell’imputata, legate a situazioni specifiche e non riconducibili a un continuativo e abituale stato di vessazione, richiesto per l’integrazione del reato di maltrattamenti. Ha inoltre evidenziato come la condotta fosse maturata in un clima di conflittualità reciproca, soprattutto per ragioni economiche, e sfociata in singoli e sporadici episodi dopo la fine della convivenza. In conclusione, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha confermato la riqualificazione dei fatti e la riduzione di pena. La Corte ha quindi escluso la dimensione abituale e sistematica delle condotte, che costituisce elemento strutturale del reato di maltrattamenti, e ha valorizzato invece la loro natura isolata e contestualizzata, riqualificando così i fatti in singoli reati autonomi. La decisione è coerente con la consolidata giurisprudenza della Cassazione (Sez. 6, n. 4935/2019), secondo cui il delitto di maltrattamenti richiede una pluralità di condotte oppressive, vessatorie e umilianti che, per abitualità e sistematicità, determinano un perdurante stato di prostrazione della vittima. In questo caso, la sporadicità e la reciprocità delle aggressioni verbali e fisiche ha fatto venire meno il presupposto di quel regime di sopraffazione e terrore continuativo che caratterizza i maltrattamenti.
- Maltrattamenti e vessazioni psicologiche: non serve la violenza fisica
“Le condotte vessatorie che integrano il reato di maltrattamenti non devono necessariamente consistere in lesioni fisiche, potendo anche articolarsi in minacce, umiliazioni, privazioni e aggressioni verbali, purché idonee a determinare uno stato di prostrazione e soggezione nella persona offesa”.
Con la sentenza Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 10/10/2024) 27/02/2025, n. 8057, la Corte si è occupata di un caso di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.) e lesioni personali (art. 582 c.p.), commessi dall’imputato ai danni della convivente e della sorella di lei. La Corte rigetta il ricorso presentato dall’imputato stabilendo che i giudici di merito hanno valorizzato le dichiarazioni della persona offesa, che ha descritto una pluralità di comportamenti prevaricatori da parte dell’imputato. Tali condotte hanno scandito la convivenza e hanno trovato riscontro nelle testimonianze della figlia minore, della sorella e della coinquilina, tutte conviventi nello stesso immobile. Le condotte maltrattanti sono state così descritte dalla vittima e confermate dai testimoni: insulti sistematici, minacce con un coltello da cucina, episodi di violenza fisica, un’aggressione in strada, tutto ciò in un costante clima di sopraffazione e paura, tipico della fattispecie di maltrattamenti. La Corte ha ribadito che le condotte vessatorie che integrano il reato di maltrattamenti non devono necessariamente consistere in lesioni fisiche, potendo anche articolarsi in minacce, umiliazioni, privazioni e aggressioni verbali, purché idonee a determinare uno stato di prostrazione e soggezione nella vittima. La sentenza richiama espressamente il principio secondo cui la condotta maltrattante può essere integrata da comportamenti anche singolarmente penalmente irrilevanti, purché, nella loro sequenza abituale, siano idonei a ledere la dignità e la personalità della vittima (richiamando precedenti di legittimità conformi). In definitiva, l’abitualità delle condotte vessatorie e il clima di sopraffazione creato dall’imputato nella relazione familiare, accertati sulla base di molteplici fonti di prova concordanti, costituiscono gli elementi fondanti la configurazione del reato di cui all’art. 572 c.p..
- Il reato di maltrattamenti non si interrompe con la separazione: il vincolo familiare persiste fino allo scioglimento del matrimonio
“Integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di atti persecutori le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta ‘persona della famiglia’ fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza.”
“Il reato di maltrattamenti può proseguire anche dopo la separazione di fatto o legale, perché il vincolo familiare persiste sino allo scioglimento formale del matrimonio, e permangono gli obblighi di rispetto e assistenza (art. 143 c.c.)”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. VI, Sent., (data ud. 14/02/2025) 26/02/2025, n. 7798, viene posto all’attenzione della Corte un caso di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) ai danni della compagna. La vicenda giudiziaria può essere così riassunta: il Tribunale di Potenza ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, disposta dal GIP di Lagonegro. Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, l’erronea qualificazione come maltrattamenti anche di condotte avvenute dopo la separazione e la mancata motivazione sulle esigenze cautelari. La Corte giudica tale ricorso inammissibile, rilevando che il Tribunale ha motivato in modo adeguato, valorizzando le dichiarazioni della vittima, i referti medici, la documentazione fotografica delle lesioni, le dichiarazioni di familiari e colleghi della vittima. Ritiene, pertanto, che le censure difensive erano generiche e non idonee a scalfire questo quadro probatorio. Inoltre, ribadisce come correttamente il Tribunale ha ricondotto le condotte successive alla separazione nell’alveo dei maltrattamenti.
Richiamando la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 45400/2022), la Corte ribadisce che il reato di maltrattamenti può proseguire anche dopo la separazione di fatto o legale, perché il vincolo familiare persiste sino allo scioglimento formale del matrimonio, e permangono gli obblighi di rispetto e assistenza (art. 143 c.c.). La separazione, infatti, non cancella gli obblighi di rispetto, assistenza e collaborazione reciproca tra i coniugi o conviventi stabiliti dall’art. 143 c.c., e non fa venir meno lo status di “persona della famiglia” rilevante ai fini dell’art. 572 c.p. La sentenza cita espressamente la Cass. Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, che ha affermato:
“Integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di atti persecutori le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta ‘persona della famiglia’ fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza.”
Questa interpretazione sottolinea come la continuità affettiva e familiare — anche dopo la fine della convivenza — mantenga la tutela penale rafforzata dei maltrattamenti.
Non si tratta di meri atti persecutori isolati (stalking), ma di un perdurante clima di sopraffazione che trova radici nella relazione familiare stessa.