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Rassegna sul Reato di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, art. 612 ter c.p. Aggiornamento a febbraio 2025

La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (art. 612 ter c.p.). Le pronunce citate sono state selezionate tra le sentenze depositate sulla materia tra novembre 2024 e febbraio 2025, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.

  • La diffusione illecita di immagini e cambiamento della sede del processo

“Il disagio espresso dalla persona offesa di per sè non basta a modificare la sede del procedimento anche se la persona teme che gli stessi giudici abbiano avuto conoscenza dei video che la ritraevano o ne abbiano sentito parlare”

Con la sentenza Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 14/10/2024) 20/11/2024, n. 42478, la Corte di Cassazione è chiamata a decidere su due richieste di rimessione del processo, presentate dall’imputata, imputata per atti di pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), nell’ambito di un processo pendente davanti al Tribunale di Bari. Nel caso in esame, l’imputata ha fondato la propria richiesta di rimessione del processo sull’esistenza di una grave situazione locale derivante da un clamoroso caso di diffusione illecita di immagini che l’ha vista coinvolta nella città di Bari.

L’imputata ha denunciato di essere stata vittima, sin dal 2021, di una diffusione illecita e virale di video e immagini sessualmente espliciti, diffusi inizialmente tramite WhatsApp da alcuni genitori di ragazzi coinvolti e successivamente rilanciati in modo amplificato da un noto giornalista locale. Tale esposizione mediatica, descritta come una vera e propria gogna pubblica, avrebbe generato scalpore, pettegolezzi e un clima di forte pregiudizio nell’intera comunità, con ripercussioni anche sull’ambiente giudiziario locale.

Secondo la prospettazione della difesa, questa campagna mediatica e sociale avrebbe condizionato l’operato della polizia giudiziaria, del pubblico ministero e dei giudici del Tribunale di Bari, che, mossi da un clima di pregiudizio, avrebbero adottato misure cautelari e provvedimenti processuali fortemente influenzati dalla pressione dell’opinione pubblica e dalla narrazione scandalistica alimentata dai media.

A fronte di questa situazione, la difesa ha sostenuto che l’intero contesto ambientale e mediatico di Bari fosse irrimediabilmente compromesso, al punto da minare l’imparzialità dell’ufficio giudiziario e da rendere impossibile la celebrazione di un processo equo e sereno presso quella sede.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per mancanza dei presupposti di legge. Innanzitutto, non vi è nessuna grave situazione locale, la “campagna mediatica”, pur animosa, non basta a dimostrare un rischio concreto di parzialità dei giudici. La presunta pressione dell’opinione pubblica non costituisce motivo di rimessione se non ci sono prove di condizionamento reale dei magistrati. Le irregolarità denunciate (come presunti errori della polizia giudiziaria o acquisizioni probatorie illegittime) sono vicende endoprocessuali, da contestare nelle sedi ordinarie (impugnazioni e ricorsi), non con la rimessione. Inoltre, non sussiste nessuna prova circa i pregiudizi o condizionamenti da parte dei magistrati nei confronti dell’imputata.

Questa vicenda evidenzia come il fenomeno del “revenge porn, oltre a costituire un reato autonomo (art. 612-ter c.p.), può anche avere effetti indiretti sul clima processuale quando la vittima (o presunta autrice) diventa imputata. Tuttavia, affinché ciò legittimi uno spostamento di sede ex art. 45 c.p.p., è necessario dimostrare che tale clima abbia oggettivamente e gravemente condizionato l’ambiente giudiziario locale, generando un concreto rischio di parzialità dei giudici: circostanza che la Cassazione ha escluso in questo caso.

  • Diffusione di immagini intime: confronto tra art. 612-ter e art. 617-septies c.p.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 17/10/2024) 17/01/2025, n. 2112, la Corte giudica un caso di diffusione illecita di riprese e registrazioni fraudolente (art. 617-septies c.p.), con assorbimento del reato di diffamazione aggravata. L’imputato aveva registrato senza consenso un video intimo, subito dopo un rapporto sessuale con la persona offesa, e lo aveva poi diffuso via WhatsApp.

L’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per Cassazione articolato in tre motivi. Il primo riguarda i vizi di motivazione sulla diffusione del video; secondo la difesa, non è stata provata con certezza la riconducibilità della diffusione all’imputato, ipotizzando invece la possibilità di un hackeraggio o dell’estrapolazione dal telefono della vittima. Inoltre, si contesta il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), il ricorrente ha lamentato che non siano stati valorizzati elementi favorevoli come la giovane età, l’assenza di precedenti e la condotta processuale collaborativa. La Corte rigetta il ricorso argomentando come la diffusione illecita sia stata provata. I giudici di merito hanno motivato in modo completo e logico, valorizzando le dichiarazioni coerenti della persona offesa, i riscontri dalle altre prove dichiarative, gli esiti della perizia sui telefoni; pertanto, la diffusione è stata correttamente attribuita all’imputato, escludendo ogni alternativa (come hacker o accessi abusivi). La Corte ha ritenuto provato anche il dolo specifico in quanto la condotta mirava a ledere la reputazione e l’immagine della persona offesa. Tale finalità è stata desunta dalle modalità della ripresa (subito dopo il rapporto sessuale) e dal mezzo di diffusione (condivisione in una chat di amici comuni, in grado di esporre la vittima a pubblica umiliazione). Per quanto riguarda l’esclusione della particolare tenuità, la Corte ha ribadito che la condotta è stata valutata grave, per modalità e conseguenze, in linea con i principi delle Sezioni Unite (“Tushaj”, 2016). Con la sentenza in esame la Corte ha sancito che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 617-septies c.p., è necessario che la diffusione di riprese o registrazioni fraudolente sia accompagnata dalla volontà di arrecare danno all’altrui reputazione o immagine; tale dolo specifico può essere desunto dalle modalità della condotta e dal contesto concreto di diffusione.

La sentenza ha il pregio di evidenziare la distinzione chiave tra l’art. 612 ter e 617-septies c.p.

L’articolo 612-ter del Codice penale punisce la diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, comunemente noto come revenge porn. In questo caso, le immagini o i video sono stati originariamente realizzati con il consenso della persona ritratta, tipicamente nell’ambito di una relazione intima o affettiva. Tuttavia, ciò che rileva ai fini della rilevanza penale è la successiva diffusione non autorizzata di quel materiale, che viene utilizzato come strumento di vendetta, ritorsione o ricatto. La norma tutela quindi la riservatezza sessuale della persona offesa, riconoscendo il diritto della vittima a preservare la propria intimità da indebite ingerenze.

L’articolo 617-septies c.p., invece, disciplina una fattispecie diversa, ossia la diffusione di riprese o registrazioni fraudolente, anche quando prive di contenuti sessuali. In questo caso, il materiale è captato con l’inganno, senza che la persona ripresa sia consapevole o abbia prestato il proprio consenso. L’obiettivo della norma è proteggere la riservatezza e la libertà delle comunicazioni private, sanzionando chi diffonde contenuti privati raccolti in modo illecito, con l’intenzione di ledere la reputazione o l’immagine altrui.

In sintesi, mentre il 612-ter tutela la riservatezza sessuale e il diritto a mantenere privata la propria intimità sessuale., mentre l’art. 617-septies c.p., applicato al caso concreto, tutela la riservatezza in generale, punendo chi carpisce fraudolentemente e diffonde immagini o registrazioni di incontri privati, anche non sessuali, al fine di ledere la reputazione o l’immagine altrui.

  • Art. 612 ter e mancanza di consenso alla diffusione

Nella sentenza Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 03/10/2024) 05/12/2024, n. 44735, la Corte è chiamata a giudicare un caso complesso. La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del GUP di Civitavecchia, ha assolto l’imputato dai reati di atti persecutori (stalking) e danneggiamento, ritenendo le dichiarazioni della persona offesa inattendibili, poiché mosse da gelosia. Contestualmente, ha confermato la condanna per violenza privata (art. 610 c.p.) per aver costretto la persona offesa a fermarsi con l’auto mediante una manovra intimidatoria e diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite (art. 612-ter c.p.) per aver diffuso, senza consenso, foto e video intimi della persona offesa. L’imputato ricorre in Cassazione sostenendo che non vi fosse prova certa della diffusione delle immagini e che il materiale era già in circolazione per altre vie.

La Corte rigetta il ricorso confermando la responsabilità dell’imputato, argomentando che è irrilevante che la persona offesa avesse inizialmente consentito alla realizzazione dei video/foto. Ai fini della punibilità rileva solo la diffusione senza consenso, comprovata dalle chat WhatsApp acquisite.

La sentenza conferma che il delitto di cui all’art. 612-ter c.p. è integrato dalla condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di arrecare nocumento.

Il giudice di appello ha correttamente ritenuto irrilevante che la persona offesa avesse inizialmente consentito alla realizzazione delle foto e dei video e che la stessa persona offesa avesse condiviso con altra persona uno di quei contenuti.

Rileva, invece, la successiva diffusione non autorizzata, che concretizza la violazione, come ribadito dalla Cassazione:
“Integra il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento” (Sez. 5, n. 14927 del 22/02/2023, Rv. 284576 – 01).

  • Dolo generico e dolo specifico nell’art. 612-ter

“Mentre ai fini della configurabilità del delitto di cui al primo comma è sufficiente il dolo generico (e, dunque, la consapevolezza e volontà di consegnare, cedere, pubblicare o diffondere immagini o video, realizzati con il consenso della vittima, ma destinati a rimanere privati), il delitto di cui al secondo comma della norma citata presuppone che l’agente, che ha ricevuto le immagini o i video da terzi, ponga in essere la medesima condotta con il dolo specifico di arrecare nocumento al soggetto rappresentato”.

Nella sentenza Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 03/10/2024) 20/11/2024, n. 42562, la Corte giudica un caso di un uomo condannato per per atti persecutori aggravati e diffusione illecita continuata di immagini sessualmente esplicite. Tra i motivi di ricorso presentati in Cassazione l’imputato sostiene che la diffusione dei video/foto non era finalizzata a danneggiare la vittima, ma a convincerla a riprendere la relazione. La Corte rigetta il ricorso. Per comprendere il ragionamento operato dalla Corte va premesso che all’imputato è contestato il reato di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 612-ter del codice penale. Ebbene, mentre ai fini della configurabilità del delitto di cui al primo comma è sufficiente il dolo generico (e, dunque, la consapevolezza e volontà di consegnare, cedere, pubblicare o diffondere immagini o video, realizzati con il consenso della vittima, ma destinati a rimanere privati), il delitto di cui al secondo comma della norma citata presuppone che l’agente, che ha ricevuto le immagini o i video da terzi, ponga in essere la medesima condotta con il dolo specifico di arrecare nocumento al soggetto rappresentato (Sez. 5, n. 19201 del 23/02/2024, L., Rv. 286392). Tale dolo specifico non viene meno se la diffusione è finalizzata a un diverso scopo (ad esempio, indurre la persona offesa a riprendere la relazione sentimentale), poiché il nocumento resta lo strumento attraverso cui l’autore intende perseguire il proprio obiettivo finale.

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