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Intervista al Collettivo Marielle, Università Roma Tre sulle molestie in ambito universitario

L’intervista, di seguito trascritta, è stata condotta da Martina Millefiorini, ricercatrice dell’Osservatorio sul contrasto alla violenza di genere e alle discriminazioni multiple dell’Università Roma Tre – Feminist Watch, in data 18 febbraio 2025.

Martina Millefiorini: Eccoci insieme al Collettivo Marielle. Ci incontriamo all’Università Roma Tre anche se, in questo momento, da remoto. Ho deciso di intervistare l౩ attivist౩ del collettivo Marielle per parlare insieme delle molestie in ambito universitario e dei codici antimolestie attivi all’interno delle università. A Roma Tre vi è un Codice Etico e non un codice antimolestie, che prevede una serie di definizioni e di regole in caso di comportamenti discriminatori verso gli/le student*.
Vorrei chiedere al Collettivo di descriversi e di raccontare il lavoro svolto a RomaTre, come si muove tra l౩ student౩ e perchè è nato. La mia intenzione è quella di soffermarmi sulla loro lotta contro le molestie e contro la violenza di genere nell’università. Mi interessa molto il loro posizionamento transfemminista e le pratiche che mettono in atto all’interno dell’università da molti anni.
Come nasce Marielle? Quali sono le riflessioni che porta avanti dentro e fuori dall’università? Queste dimensioni sono chiaramente connesse, ma come sono connesse secondo voi?

Collettivo Marielle:  Allora, il collettivo nasce nel 2018, subito dopo l’assassinio di Marielle Franco, da un’esigenza collettiva di avere uno spazio in cui potersi confrontare, in cui poter mettere al centro i propri bisogni, e volerli poi trasformare in azioni politiche collettive. È quindi uno spazio che si basa sull’autocoscienza in cui il personale diventa condiviso e diventa politico. A partire dalle nostre esigenze, dai nostri bisogni, immaginiamo di trasformare l’università in uno spazio sicuramente più accessibile a noi, corpi non conformi e totalmente cancellati da quelle che sono le norme e le gerarchie accademiche. Abbiamo ripreso un po’ di quello che era lo slogan di Marielle, ovvero io sono perché noi siamo. Ci siamo mess౩ insieme a partire da quelli che erano i nostri dolori e i nostri vissuti per poterci innanzitutto non sentire da sol౩. Siamo partit౩ da quello per riuscire a vivere lo spazio universitario in una maniera più collettiva e quindi non sentirci più da sol౩ ad affrontare e attraversare uno spazio che molto spesso è inaccessibile e violento. Quindi il poter attraversare quegli spazi e poter piano piano ridisegnarli, ricordandoci che lì è il posto in cui possiamo vederci e fare assemblea, è il posto che abbiamo attraversato con dei cartelli e col megafono in mano, dove abbiamo fatto quell’evento lì, dove abbiamo portato i nostri corpi.
Questo ci aiuta ad attraversare diversamente l’università e a ricordarci che comunque le alternative sono possibili, ci aiuta a dirci che ridisegnare degli spazi è possibile. Quindi Marielle fa un po’ questo, cioè ci ricorda che non siamo da sol౩  e che possiamo in qualche modo costruire nuovi immaginari in cui i nostri corpi sono al centro. Soprattutto quello che abbiamo fatto e facciamo è cercare di trovare parole per raccontarci, perché queste parole non ce le hanno date e sentiamo il bisogno di dover in qualche modo trovarle e costruirle per noi. Questo lo facciamo in diversi modi: leggendo parole di altre sorelle, di altre genealogie anche molto lontane da noi, che in qualche modo ci trasmettono delle modalità per definirci, che poi ovviamente possiamo anche prendere e ri-trasformare. Adottiamo pratiche femministe, quali per esempio l’autocoscienza come prima dicevo, ma anche degli spazi separati in cui rimettere al centro il disagio e l’inadeguatezza che sentiamo in ogni spazio. Quindi dentro l’università facciamo questo. Attraversare quei corridoi con i nostri corpi, con i nostri nomi e coi nostri modi è già politico, è già un modo per dire che noi esistiamo.

Poi all’esterno, quello che facciamo a livello territoriale è attraversare anche altre assemblee per portare le voci dell౩ student౩ che molto spesso vengono immaginate, vengono immaginate anche misure trasformative ma molto spesso vengono elaborate senza comunicare con noi, le dirette interessate. Quando si va negli spazi al di fuori si trovano sempre delle persone magari che hanno già vissuto questi momenti, quindi che sono già stat౩ student౩ e quindi un po’ ricordano, un po’ immaginano che vuol dire stare all’università e quando andiamo lì è proprio per ricordare che comunque noi esistiamo e che quei bisogni possiamo raccontarli noi attraverso le nostre voci. Questa è una parte un po’ difficile perché molte persone immaginano questi spazi giovanili lontani da altri luoghi di lotta e lontani dal femminismo e quindi molto spesso vengono usati anche dei toni molto paternalistici. Alcune persone ci hanno detto che dovremmo tornare a leggere i libri e che se non sai, se non conosci il femminismo, allora non puoi fare politica.
Ecco, noi abbiamo iniziato con l’idea che chiunque può fare politica, che anche chi parte da un paesino e non sa nemmeno chi è, può iniziare a fare politica perché alla fine è necessario dare centralità al percorso personale di ognuno di noi.
Se non si parte dalle personali esigenze comuni, non si può certo immaginare un mondo al di fuori migliore.
Siamo quindi partite da una pratica di cura di noi, cercando di capirla innanzitutto e facendola insieme. Abbiamo capito che molto spesso si pensa alla cura immaginando i bisogni di corpi che nemmeno sono presenti. Invece noi ricordiamo che i corpi sono centrali, e che è da ogni singolo corpo che possono partire ragionamenti.  Su questo tema è stato importante partire da esperienze che ci parlano di abilismo perché molto spesso, quando si attraversano gli spazi si pensa che gli spazi siano sicuri, accessibili per tutt* e poi non è vero. Quindi, quello che facciamo sia all’interno che fuori dall’università è ricordare che i corpi veri esistono, le persone vere esistono, e bisogna ripartire dal parlarci e metterci insieme.

Martina Millefiorini: Beh, grazie veramente. Una bellissima descrizione, già questa vale da sé l’intervista. Continuo con le domande. Avete un’idea di università? Che tipo di università vorreste? Quali sono le politiche attivate di più nell’università che sono importanti per voi?. Quali sono le questioni più importanti per voi dentro l’università? L’abbattimento delle barriere ad un’educazione libera per tutt౩?

Collettivo Marielle: Secondo noi la base per rispondere a queste domande, è la prima domanda. Quindi partire da noi, dalle esperienze, dai bisogni che sono poi i diritti, che spesso sono talmente tanto invisibilizzati che diventano delle pretese stranissime agli occhi delle persone non politicizzate. Noi vogliamo essere un collettiv che rappresenta uno spazio sicuro, che poi dire spazio sicuro è anche politico, perché avere uno spazio veramente sicuro è difficile, perché un spazio sicuro per qualcun౩ può non esserlo per tutt౩. Ci immaginiamo un’università transfemminista, quindi, per esempio, libera dai saperi eterocispatriarcali. Vogliamo aule e lezioni accessibili, dato che spesso alcuni strumenti che sono diritti fondamentali non non ci sono. Noi vogliamo che tutti i corpi e le soggettività vengano riconosciute, che l’insegnamento sia libero, accessibile per tutt౩ le persone e i loro bisogni di apprendimento, quindi comunque poi la lotta diventa intersezionale. Vogliamo rivendicare il luogo in cui noi passiamo maggior parte delle giornate e quindi vogliamo che sia uno spazio adatto e accessibile a noi e che non sia uno spazio violento. Ultimamente molte volte le università si tingono di rosa e portano avanti solo politiche “di facciata” che nascondono pinkwashing, facendo corsi in cui portano avanti le tematiche di genere. Su questo bisogna fare molta attenzione perché l’università che noi immaginiamo non è un’università che si appropria  dei valori femministi svuotando le nostre analisi. Questa è una cosa molto pericolosa, perché quando poi il femminismo entra nell’accademia, perde il corpo. E se perde il corpo, perde tutta l’essenza del femminismo e di quello che facciamo tutti i giorni. Avvicinarsi all’accademia molto spesso vuol dire svuotare tante parole e tanti significati e quindi quello che noi ci immaginiamo è rompere le gerarchie che abitano questo spazio. Non è possibile che per arrivare a portare delle istanze bisogna scalare una gerarchia tremenda di persone. Ovviamente è un percorso molto lento e questa è una cosa che va lentamente cambiata ed è sicuramente una delle nostre vertenze. Anche per quanto riguarda il codice antimolestie,  il fatto che tutto il potere decisionale sia nelle mani di una persona che è la Consigliera di fiducia, che dovrebbe essere una persona esterna, che molto spesso non è, dovrebbe essere una persona formata, ma molto spesso non lo è, e quindi sicuramente una delle nostre vertenze e quella di andare a rompere questa gerarchia.
Vogliamo dell’equipe realmente formate su tematiche di genere e che abbiano diretto contatto con l౩ student౩ e con le persone che quei bisogni li vivono sui corpi tutti i giorni.
Avere un sapere eterocispatriarcale è violenza, avere uno spazio non accessibile è violenza e poi, appunto, tornando alla questione del codice anti molestie, non avere un codice anti molestie è violenza, cioè sapere che se succede qualcosa le persone non sono tutelate è una cosa che potrebbe spaventarle. Noi cerchiamo di parlare di questi temi ma anche prendere parola su questo è difficile, si è invisibilizzat౩ all’interno dell’ateneo e all’interno anche del corpo studentesco. Questa invisibilizzazione che viviamo fa si che non abbiamo uno spazio e che dobbiamo sempre appoggiarci in luoghi di altri, poi non essere riconosciut౩ vuol dire anche che per ogni cosa devi lottare.

Martina Millefiorini: Prendo spunto da quanto mi dite per chiedervi: voi avete degli spazi vostri dentro l’università? questo dovrebbe essere un diritto dell౩ student౩. Dove vi incontrate? Vorrei poi che mi raccontaste come nasce lo spazio della Consultoria che gestite all’interno del Centro Antiviolenza di ateneo. Perché il Cav è un luogo per voi importante? Perché avete deciso di essere in quello spazio per fare delle attività?

Collettivo Marielle: Allora la Consultoria nasce un anno fa proprio con l’obiettivo di essere un centro di formazione e di autoformazione per noi student౩ in uno spazio che è transfemminista. La consultoria è un luogo di dialogo, di scambio di saperi non eterocispatriarcali tra noi e  molte operator౩, persone esperte che appunto ci formano e ci sostengono in questo nostro percorso di costruzione e di formazione.
Il Cav c’è stato di aiuto per la campagna che è cominciata per chiedere all’università un codice antimolestie. La campagna è nata da qualche settimana e sono stat౩ molto d’aiuto, di sostegno,creando rete e creando saperi nuovi transfemministi. La Consultoria è un lavoro peer to peer, tra le persone che sono dentro il centro antiviolenza e il collettivo. In altre parole, vuol dire che lavoriamo insieme come student౩ e operator౩, mettendo insieme i nostri saperi condivisi e le nostre ottiche diverse.
Comunque noi siamo la voce dell౩ student౩ e invece poi ci confrontiamo con operato౩r che che sono format౩ su tanti temi di cui comunque noi abbiamo bisogno per portare avanti le nostre istanze politiche all’interno dell’università. Insieme al CAV abbiamo organizzato mensilmente degli incontri di sensibilizzazione creando dei momenti di formazione con l౩ student౩ che è una cosa molto innovativa, nel senso che non tutti i CAV riescono a unire questo con tutto l’altro carico di lavoro che c’è da fare, in quanto seguono già tantissime persone nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, persone che non sono solo studenti ma che vivono in tutto il territorio circostante. Lo spazio è nato per alleggerire il carico emotivo delle studenti, perchè venire a denunciare violenze è molto faticoso, mentre pensare che possiamo esserci noi come mediator౩ può rendere questo un po’ più leggero. Per noi lavorare con il CAV significa essere in contatto con quello che succede in università e la stessa cosa vale per loro. Questo è molto importante soprattutto per costruire una campagna per un codice antimolestie. Vogliamo aggiungere anche il fatto che il CAV sia gestito a bando annuale è un tema politico. Il tema è che la violenza viene messa al bando. Il CAV deve fare tutta la procedura burocratica per rivincere questo bando. L’anno scorso, appunto, c’è stato anche il rischio che il bando non fosse rinnovato e il lavoro fatto con tutte le persone seguite va perso. Partecipare ad un bando annuale significa che le attività dell’antiviolenza sono sempre precarie e a rischio di interruzione e questo non è sostenibile per le operatrici e per le donne seguite, in quanto i percorsi sono spesso lunghi e faticosi. Sarebbe necessario un finanziamento più cospicuo e più lungo nel tempo per sostenere le attività di questo come di tutti i CAV.

Martina Millefiorini: Ora vorrei chiedervi: per costruire il lavoro che avete avviato all’interno dell’università sul tema delle molestie avete contattato anche altr student di altri atenei che hanno attivato dei percorsi simili? Siete in contatto con gruppi di mobilitazione, ricerca e interesse sul tema? Come nasce l’interesse, dell student in tema di molestie? Alla luce di anni in cui i media hanno raccontato una serie di brutti episodi, penso a Torino e a Napoli dove grazie all౩ student౩ il tema è venuto a galla ed ha suscitato discussioni pubbliche.

Collettivo Marielle: è un lavoro che non è nuovo e già da tempo è centrale nella nostra lotta interna all’università. L’anno scorso abbiamo iniziato facendo formazione. C’è stato un evento proprio di formazione dentro l’università dal titolo “che cos’è una molestia?”.
Partendo proprio da questa domanda e cercando di arrivare a più persone possibili perché sappiamo quanto, a volte, riconoscere una molestia, sia difficile.
A livello di rete e di contatti, l’esperienza di Bologna della collettiva Maleducacion ci ha dimostrato che questa lotta poteva essere possibile. Quello di Bologna è un esempio di student౩ che hanno partecipato attivamente alla scrittura del codice Antimolestie. Tra l’altro da poco abbiamo saputo che questo codice è stato cambiato e questo ci conferma che purtroppo tutto è molto momentaneo e che non c’è mai una vera tutela. La loro esperienza ci ha dato comunque un pò di forza. Un’altra esperienza molto significativa è quella di Torino dello scorso 25 novembre, da cui è partito un movimento di Me too, quindi di testimonianze sulle molestie nell’ateneo, che è riuscito ad arrivare a molte persone. Però dobbiamo anche considerare l’anno in cui si muovevano queste attivazioni, perché era l’anno del femminicidio di Giulia Cecchettin e questo ci restituisce quanto a livello mediatico, più un’informazione è alta, più prende in qualche modo audience, e più mondo della comunicazione si avvicina a quella tematica. Questo non sempre porta ad ottenere dei risultati, in quanto la presenza sui media in qualche modo strumentalizza alcune tematiche, le rende mainstream e quindi in qualche modo le svuota e non si ottengono veri risultati tangibili. Quest’anno è tutto molto più difficile e lo lo vediamo in ogni cosa. Rispetto allo scorso 25 novembre quest’anno la piazza era già più vuota e quindi ci ricorda quanto tutto sia visto in chiave emergenziale, cioè solo se c’è un’emergenza effettiva le persone scendono in piazza, solo se c’è qualcosa che ci ricorda che la violenza esiste. In questo ateneo sono anni che ci vengono raccontati episodi per cui ci sentiamo impotenti, il codice anti molestie serve per dirci cosa dobbiamo fare a noi e a qualsiasi persona che si ritrova in questa situazione, perché comunque ci troviamo davanti a un vuoto normativo gigante e quello che noi vogliamo fare è riempirlo con le nostre parole. Non vogliamo un codice anti molestie scritto da persone che immaginano i nostri bisogni. Vogliamo, invece, partire da queste esperienze e partire dai dati che abbiamo già raccolto negli anni e che continueremo a raccogliere. Dobbiamo sempre ricordare alle persone che la violenza esiste e l’unico modo per farlo è attraverso delle testimonianze di chi l’ha vissuta perchè queste sono le esperienze che a noi importano. Potevamo farcela prima, possiamo farcela adesso e vogliamo ricordarlo un po’ ogni giorno.

Martina MillefioriniA questo punto vi vorrei chiedere: secondo voi come andrebbe scritto il codice anti molestie e da chi? Qual è la cosa più importante del codice antimolestie?  L’avete un po anticipato prima: dovrebbe servire soprattutto a tutelare tutt౩ l౩ student౩. Inoltre vi vorrei chiedere di spiegare meglio come mai nell’Università in particolare è così importante avere il codice? E perché dentro l’università – come avete ripetuto più volte – i rapporti sono così gerarchici?

Collettivo Marielle: Allora il codice secondo noi andrebbe scritto in maniera collettiva, quindi a partire dall౩ student౩. Ci siamo immaginate una Commissione Trasversale quali membri fossero ripartiti tra student౩, docente౩, personale TAB.
Quindi sarebbe scritto dalle persone a cui si riferisce, tutte le persone che attraversano lo spazio universitario ogni giorno, che lo vivono e che potrebbero subire in quello spazio offese e molestie. Dovrebbe essere un lavoro collettivo al cui centro c’è lo student౩.
Il codice dovrebbe prevedere anche delle procedure chiare. Bisogna che ci siano scritte le conseguenze delle azioni in modo chiaro. Se succede una certa cosa, ci deve essere una certa conseguenza ed è anche necessario che siano efficaci e seriamente applicate. Spesso accade che i Codici etici coprano soltanto violenze agite da persone gerarchicamente più alte di noi e quindi dai docenti. Quello che dobbiamo ricordare è che la maggior parte delle molestie quotidiane vengono agite da studenti stessi. Vogliamo riempire questi vuoti normativi con pratiche da seguire. Il codice non deve coprire soltanto quando la violenza viene agita appunto da docenti, ma dovrebbe coprire tutti gli spazi universitari. Vogliamo sottolineare un altro aspetto: molto spesso arrivano segnalazioni su persone che non sono iscritte all’università Roma Tre ma che frequentano l’università perchè è un luogo giustamente accessibile a tutt౩. Purtroppo però sappiamo che in casi come questi non è possibile applicare i codici e vorremmo, all’interno del nostro ipotetico codice, dei chiari riferimenti ad episodi del genere. Un’altra parte importante riguarda anche tutta la violenza digitale, perché ovviamente le violenze non vengono agite soltanto fisicamente, ma la violenza digitale è molto presente. Il fatto che questa violenza non abbia un perimetro certo e che possa essere agita in qualsiasi spazio possibile fa sì che molti tipi di violenze vengano agiti più sui social, ma anche sui gruppi whatsapp dell’università che vengono creati per motivi di studio. In questi gruppi esistono molti casi di umiliazioni e violenze.
Vorremmo portare anche questo all’interno di questo codice. Quando succedono queste cose adesso a chi ci rivolgiamo? Chi ci tutela?
Non abbiamo le risposte ma stiamo cercando di ragionare tra di noi e con persone formate su questo, che possono aiutarci ad immaginare nuove soluzioni. Bisogna poi tenere in considerazione le varie forme di violenza. Non bisogna fermarsi soltanto alla violenza maschile sulle donne, ma vogliamo che si parli di violenza genere in modo da comprendere l’esistenza anche dei corpi trans binari e non binari, che molto spesso non hanno alcun tipo di tutela. Siamo molto consapevol౩ della carenza di spazi che accolgono persone trans e noi sicuramente non vogliamo lasciare indietro nessun౩.

Martina Millefiorini: Perché è importante l’approccio dei Centri antiviolenza nella costruzione di un ipotetico codice antimolestie? Dovrebbe avere un ruolo anche all’interno delle procedure da seguire per contrastare le violenze in università?

Collettivo Marielle: In questo momento non è semplice senza un codice. Senza codice nel momento della denuncia non è chiaro quale sia l’iter burocratico interno da seguire. C’è poca trasparenza. Per fare un esempio: durante un’Assemblea pubblica tra student* una persona ci ha chiesto direttamente qual’è l’Iter interno da seguire? Noi non sapevamo bene che rispondere. Un altro esempio: che succede a livello interno/universitario se una persona che ha subito molestia la riporta al CAV? Il fatto di dover riportare questa molestia o violenza in un organo come la consigliera di fiducia, per poi passare anche per organi più alti.  A volte sembra che si perda. Noi ci immaginiamo un documento ove l’iter sia trasparente e che sia fruibile, accessibile, cosicché la persona che vuole parlare sia tutelata. Vogliamo che chi denuncia non debba avere la paura di ritorsioni da un professore o anche da uno studente, perché comunque dentro l’università sappiamo che le dinamiche gerarchiche fanno paura.
Pensiamo che sia difficile denunciare un professore con cui magari bisogna poi svolgere un esame e, di riflesso, si rischia che le student* si facciano carico da sole di queste situazioni, si allontanino, soffrano e vi sia anche una riduzione del loro rendimento accademico.

Martina Millefiorini: Da quello che mi dite sembra quindi che dentro l’università ci sia un po’ questa sensazione di incertezza e poca trasparenza delle relazioni, e quindi anche di impunità, ancora di più in assenza del codice antimolestie. Riguardo a questo aspetto, sentite di avere pochi spazi di dialogo trasparente, Inter-facoltà o Inter- personale, compreso tra l౩ student౩? Come vivete queste dinamiche?

Collettivo Marielle: Una cosa che abbiamo imparato è a fare compromessi.
Nel senso che fare lotta da basso vuol dire avere tanta voce, trovarla, acquisirla, usarla.
Allo stesso tempo però sembra non arrivare mai dove deve arrivare e quindi non arriva mai poi all’interno degli organi decisionali, non arriva mai al rettore e se ci arriva riceviamo sempre risposte molto liquidatorie e quindi abbiamo un po’ dovuto fare i conti con il metterci in relazione con tutte queste piccole parti di gerarchie. E’ una cosa molto faticosa perché ci mette continuamente di fronte a una cancellazione estrema dei nostri corpi, delle nostre esistenze, delle nostre istanze, delle nostre tendenze, e quindi dobbiamo sempre ricordare che tutta questa violenza esiste, che noi esistiamo e molto spesso queste parole dobbiamo metterle in mano ad altre persone che possono invece andare in quell’organo, in quel Senato e in quel Consiglio di dipartimento a dirle. Ci sembra, quindi, di non avere mai la certezza che le nostre parole vengano riportate come vogliamo e rimaniamo nel timore che queste vengano svuotate. Però, abbiamo comunque imparato con il tempo a prenderci questo rischio, perché anche se ci sentiamo di rivelare molte dinamiche violente e di mettere a rischio anche i nostri corpi nelle mani di altre persone, questo è l’unico modo che ci permette di scalare questa gerarchia. La campagna per il codice antimolestie ovviamente l’abbiamo immaginata anche con altre realtà e con altre liste di partiti attivi nell’ateneo che sono all’interno degli organi, che hanno rappresentanti e che quindi, in qualche modo, riescono a parlare con le persone che hanno più potere. Rimane il fatto che ci sentiamo molto distanti da loro, da come l’università è costruita, però, allo stesso tempo siamo consapevoli che questa è l’unica cosa da fare per riuscire ad avere una voce per noi e per tutte. Pertanto, molto spesso ci troviamo in situazioni violente per noi, in posti in cui dobbiamo parlare anche se non ci va di farlo perché sappiamo che abbiamo davanti persone che non hanno capacità di capirci. Lo facciamo perché è l’unico modo per riuscire ad arrivare a quelle parti più alte. Oltre questo abbiamo le nostre pratiche, quelle un po ‘più conflittuali, come l’andare sotto al rettorato con i cartelli e col megafono. Pensiamo che in università il pinkwashing viene fatto continuamente nelle giornate “spot”, come il 25 novembre o l’8 marzo. Noi non ci accontentiamo dei distributori per gli assorbenti (per fare un esempio) quando il direttore di dipartimento inizia la distribuzione solo durante la sua campagna di rielezione sebbene noi glieli chiediamo da 5 anni. Non ci dimentichiamo che abbiamo una procedura per ottenere la carriera alias che è patologizzante. Teniamo anche a mente che ogni volta che abbiamo provato a segnalare la mancanza di un codice antimolestie contro violenza e discriminazioni la risposta è sempre stata: “sì, ci stiamo pensando” senza mai fare nulla di concreto. Per questa ragione ci teniamo molto al codice antimolestie.
Spesso manteniamo la rabbia per noi, per transformarla in altro, in altri luoghi, in altri momenti collettivi prolifici e gioiosi.

Martina Millefiorini: vorrei allora che mi spiegaste meglio della campagna, che più volte avete citato, per la creazione di un codice Antimolestie a Roma tre. Come l’avete immaginata? In cosa consisterà?


Collettivo Marielle: Ci lavoriamo, ci stiamo già lavorando. La campagna è partita da un’Assemblea pubblica in cui abbiamo parlato di questo e abbiamo sicuramente iniziato a fare informazione perché, va detto, molte persone della componente studentesca non sanno che il codice anti molestie è una cosa che deve esistere e non sanno in che modo sono regolate in questo momento situazioni come queste dentro il nostro ateneo.
Roma Tre, a nostro avviso, ha un approccio totalmente errato perché regola solo i casi in cui sia coinvolto il personale, tramite un codice etico; mentre non regola i casi in cui sia coinvolta solo la componente studentesca. Per costruire la campagna siamo partit౩ da noi, da auto-formazione, guardando anche i codici di altri atenei e cosa sembra funzionare meglio per i/le nostr* collegh౩ in altri atenei. Noi vorremmo, come già indicato, un codice in cui non si prenda in considerazione solo la violenza tra uomo e donna, ma vogliamo che sia contrastata anche la violenza omolesbotransfobica. Abbiamo creato un sondaggio anonimo per tutt* le student* e vogliamo partire dall’analisi dei dati quantitativa e qualitativa, perché vogliamo sapere cosa succede dentro Roma Tre. Anche se in modo indiretto abbiamo avuto notizia di tanti casi di molestie, noi vogliamo proprio dei dati, vogliamo che le persone si fidino di noi e ci vengano a dire cosa succede veramente all’interno dell’università e quindi sicuramente partire da noi in un senso anche scientifico. Noi siamo quindi in rete con la componente studentesca, ma siamo in contatto anche con persone esperte del tema che sanno e hanno le parole per descrivere alcune cose, per parlarne. Noi vogliamo che questo codice sia un codice scritto da persone che sono informate ma pretendiamo anche che parta dalle nostre storie, da quello che esperiamo noi student౩.
Abbiamo iniziato a parlare del codice partendo dalle nostre esigenze, siamo venut౩ a conoscenza del fatto che a Roma tre non c’è e abbiamo iniziato a spingere. Abbiamo chiesto varie volte questo codice e siamo sempre state rimandate indietro.
Ad un certo punto abbiamo deciso, usando le nostre pratiche, di prendere la situazione in mano e quindi di partire da noi. Da quel momento abbiamo una rete con il CAV, con alcune professoresse e altr౩ student౩.
Vogliamo arrivare ad avere un documento professionale, che regoli e sanzioni in modo corretto e volto alla nostra tutela.

Martina Millefiorini: vorrei ora farvi un’ultima domanda più generale. Vorrei partire dai tempi che viviamo i quali – possiamo dirlo- sono veramente atroci perchè viene pubblicamente sdoganata la violenza di genere, di classe e di razza, anche e soprattutto da esponenti politici. A mio avviso, contro questo tipo di retoriche sarebbe necessario un grande lavoro di comunità, nell’educazione e nella prevenzione. Voi cosa state percependo dentro l’università? Cosa state facendo in questa nuova fase politica? E, oltre a questa campagna, quali sono le vostre pratiche, anche conflittuali, se ne avete?

Collettivo Marielle: Le nostre pratiche sono vedersi in uno spazio, dirci come ci chiamiamo, che pronomi usiamo e come stiamo. Riprendiamo una cura collettiva. Non crediamo che ci sia bisogno sempre “di fare”. Noi per prima cosa ci mettiamo in relazione, creando rapporti di tenerezza e amore tra di noi. Per noi è importante esserci sempre, quindi se succede qualcosa in Aula sappiamo che fuori al pratino possiamo trovare le nostre persone e possiamo pensare di andare, il giorno dopo, lì con un megafono in mano a dire pubblicamente quello che è successo e parlare delle emozioni che ci ha cagionato.
Insieme parliamo delle nostre sensazioni, che molto spesso all’esterno vengono etichettate come esagerate, inadeguate. Noi invece, insieme, riusciamo a dare un nome a queste sensazioni perchè parlandone ci rendiamo conto le sentiamo un po  tutt౩. Un’altra pratica abituale è riempire tutte le bacheche delle facoltà con le nostre idee. Dopo due giorni, di solito, ci staccano tutto ma noi continuiamo a riempirle appena possiamo e stacchiamo le cose che non ci piacciono.
Inoltre, andiamo con gli striscioni in cortile per cercare un po ‘ di dare importanza a quelle giornate che a livello istituzionale non vengono riconosciute. Adesso che si avvicina l’8 (lotto) Marzo, per esempio, in teoria tutt* dovrebbero scioperare quel giorno, secondo noi, ma qui le persone non scioperano perché non gli danno la possibilità di farlo o perchè non sono ben informate. Allora noi ci mettiamo d’accordo con delle professoresse che decidono di scioperare o che terminano le lezioni un po prima permettendo all* student* di scioperare e di venire con noi alle manifestazioni.
Poi organizziamo manifestazioni e cerchiamo di creare della socialità alternativa che altrimenti non sarebbe possibile creare perché ormai, soprattutto Roma Tre, a livello di spazi per gli studenti ha davvero delle politiche tremende perchè non abbiamo nemmeno i tavoli dove mangiare. Non abbiamo nemmeno un posto al chiuso dove mangiare quando piove. Noi cerchiamo di creare spazi a modo nostro e quindi se piove occupiamo le scale, se piove occupiamo un’Aula che in quel momento è libera o anche no almeno per avere un posto dove poter fermarci o mangiare o parlare.
Molto spesso abbiamo usato anche la pratica del mail bombing, ovvero mandare molte mail per chiedere qualcosa all’università. Invece la pratica dell’occupazione è molto più difficile, in primis perché le realtà politiche attive sono pochissime in confronto ad altre università come La Sapienza. Anche perché Roma tre è molto sparsa sul territorio quindi è difficile aggregarsi ed occupare spazi in poche persone. Comunque abbiamo provato nel tempo a farlo, ma le occupazioni sono durate molto poco. A noi non ci piace l’idea di occupare uno spazio con 10 uomini con i cani. Quando abbiamo provato ad occupare degli spazi per noi l’abbiamo fatto molto lentamente, andando, ad esempio, in un’Aula, portando lì uno striscione, iniziando a lasciare le nostre cose, mettere dei libri, fare una Biblioteca, fare assemblea, sempre in quel posto. Non crediamo che la violenza comunque non sia legittima in alcuni casi ma quando è stata utilizzata in università è arrivata sempre la polizia. Roma Tre in generale è stata progettata per non avere reali luoghi di aggregazione ed inoltre, se consideriamo le nuove opere, ci fa rabbia vedere come abbiano costruito un nuovo rettorato da tre milioni di euro e non ci diano nemmeno una panchina dove mangiare.

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