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Rassegna sul Reato di Molestia o disturbo alle persone, art. 660 c.p. Aggiornamento a ottobre 2024

La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione sul reato di “Molestia o disturbo alle persone” (art. 660 c.p.). Le pronunce citate sono state selezionate tra le sentenze depositate sul tema tra maggio e settembre 2024, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.

•            Definizione di molestia sessuale e art. 660 c.p.

“La molestia sessuale, che è una forma particolare di molestia prevista e punita dall’articolo 660 c.p. prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale.”

Nella sentenza Cass. pen., Sez. III, (data ud. 28.05.2024), dep. 22.07.2024, n. 29729, la Corte esamina un caso in cui l’imputato è stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 e 609-bis c.p. L’imputato, nella sua qualità di dipendente di un bar pizzeria, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in maniera improvvisa e repentina palpeggiava il fondo schiena della persona offesa, di anni sedici, sua collega di lavoro. Nel ricorso proposto in Cassazione la difesa dell’uomo lamenta che la Corte di appello, nonostante gli fosse stato presentato tale specifico motivo di gravame, non aveva dato motivazione sulla richiesta della difesa di derubricazione del delitto contestato da violenza sessuale al reato di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone).

La Corte ha giudicato il ricorso manifestamente infondato indicando che: “secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità la molestia sessuale, che è una forma particolare di molestia prevista e punita dall’articolo 660 c.p. prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale”.

Sul caso preso in esame la Corte precisa però che: “se dalle espressioni verbali a sfondo sessuale si passa ai toccamenti a sfondo sessuale – come appunto è stato accertato essere avvenuto nella specie – si realizza il delitto di abuso sessuale consumato o tentato a seconda della natura del toccamento e delle circostanze del caso. Per questi motivi il ricorso viene rigettato”.

  • Reato di Atti persecutori, art. 612 bis c.p. e reato di Molestia e disturbo alle persone, art. 660 c.p. – Il caso dello “stalking giudiziario”.

“Le molestie costitutive del delitto di Atti persecutori, art. 612-bis c.p., possono realizzarsi anche all’interno di situazioni apparentemente legittimate dal diritto, poiché la fattispecie incriminatrice è integrata quando vi sia reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso”.

Nella sentenza Cass. pen., Sez. V (data ud. 27.03.2024), dep. 03.07.2024, n. 26131, la Corte ha giudicato un caso in cui l’imputato è stato condannato per il delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. per avere con condotte moleste e minacciose, cagionato al curatore del fallimento della società amministrata dal primo, un grave e perdurante stato di ansia.

Tra i motivi del ricorso, la difesa dell’imputato lamentava la falsa applicazione dell’art. 612 bis c.p., in relazione all’art. 660 c.p., per avere la Corte territoriale omesso di verificare se le azioni poste in essere dall’imputato potessero essere qualificate come molestie ai sensi di tale articolo, anche alla luce del diritto dell’imputato di interloquire con il suo curatore fallimentare. Inoltre, la difesa metteva in dubbio l’effettiva capacità della condotta di provocare nella persona offesa l’evento di danno richiesto dalla fattispecie incriminatrice ex art. 612 bis c.p., ovvero l’aver provocato un grave e perdurante stato di ansia.

La Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato chiarendo che: “ai fini della configurazione del delitto di atti persecutori, le reiterate molestie non devono essere commesse necessariamente in luogo pubblico, o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, come invece previsto per la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.” (Richiamando la sentenza Sez. 5, n. 12528 del 14.01.2016).

La Corte ha stabilito: “che le molestie costitutive del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. possano realizzarsi anche mediante iniziative apparentemente legittimate dal diritto, poiché la fattispecie incriminatrice è integrata dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, sicché ciò che rileva è la identificabilità di questi quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione di uno degli eventi, alternativamente previsti dalla norma incriminatrice che condividono il medesimo nucleo essenziale, rappresentato dallo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie. È siffatto nucleo essenziale a qualificare giuridicamente la condotta che può, invero, esplicarsi con modalità atipica, in qualsivoglia ambito della vita, purché sia idonea a ledere il bene interesse tutelato, e dunque la libertà morale della persona offesa, all’esito della necessaria verifica causale. In altri termini, il contesto entro il quale si situa la condotta persecutoria è del tutto irrilevante, quando la stessa abbia determinato un vulnus alla libera autodeterminazione della persona offesa, determinando uno degli eventi previsti dall’art. 612-bis c.p. Ed assume mero contenuto descrittivo, che peraltro registra ma non limita la varietà degli ambiti fenomenologici, il riferimento a diverse declinazioni del reato, correlate a specifiche “ambientazioni” (ed. stalking condominiale, giudiziario e così via)”.

  • Differenza tra il reato di Atti persecutori, art. 612 bis c.p. e il reato di Molestie e disturbo alle persone, art. 660 c.p.

“Il discrimen tra il delitto di atti persecutori (che è reato abituale) e il reato di molestia e disturbo alle persone, che pure può rappresentare un elemento costitutivo del primo, è dato dalla produzione (nel caso del reato di cui all’art. 612-bis c.p.) di un evento di ‘danno’ consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di ‘pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. V (data ud. 29.02.2024), dep. 21.06.2024, n. 24745, il caso sottoposto alla Corte riguardava un uomo che è stato dichiarato colpevole del reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., aggravato dal fatto di essere stato commesso ai danni di persona con cui aveva intrattenuto una relazione sentimentale.

Nei motivi del ricorso, la difesa ha sostenuto che nel caso di specie non può ritenersi integrato il reato di cui all’articolo 612-bis c.p., difettando la lesione dell’interesse tutelato da tale norma. È indicato che anche a voler ritenere fondate le accuse mosse contro l’imputato, i fatti potrebbero al più essere ascritti entro la fattispecie di cui all’articolo 660 c.p., non risultando ricorrere tutti gli elementi richiesti dalla fattispecie degli atti persecutori. La motivazione della sentenza impugnata, continua la difesa, appare illogica e carente nella misura in cui non ha in alcun modo dato conto delle dichiarazioni rese dai testi escussi e dallo stesso imputato, laddove dall’istruttoria è emerso un legame quantomeno altalenante e conflittuale tra le parti, caratterizzato da continui scambi di SMS e messaggi whatsapp e momenti di instabilità riconducibili piuttosto a consuetudine del rapporto di coppia e in ogni caso a una condizione di reciprocità. Nel ricorso è indicato anche che i disturbi dell’imputato lamentati dalla persona offesa erano preesistenti all’inizio della relazione sentimentale e questa ne sarebbe stata già ampiamente consapevole.

La Corte ha giudicato il ricorso inammissibile ed ha sottolineato come già i giudici di merito abbiano evidenziato che l’imputato, non accettando la fine della relazione con la persona offesa, attraverso comportamenti invasivi della vita della donna (messaggi e telefonate insistenti – anche 190 in un giorno – minacce, insulti, appostamenti sotto casa e reiterate citofonate, etc.), poneva in essere una condotta idonea a ingenerare, nella predetta, un perdurante e grave stato di ansia e paura, e che tali comportamenti, pur innestandosi su una pregressa situazione di depressione innescata dal decesso della madre della predetta, avevano aggravato lo stato depressivo della donna, inducendola a cambiare le abitudini di vita.

La Corte ha sottolineato che: “in tema di atti persecutori, la prova dello stato d’ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall’agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante; ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, infatti non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente”.

Quanto alla richiesta di derubricazione del reato nell’ipotesi meno grave dell’art. 660 c.p., la Corte ha stabilito che: “il discrimen tra il delitto di atti persecutori (che è reato abituale) e i reati di molestie e di minacce, che pure possono rappresentare un elemento costitutivo del primo, è dato dalla produzione (nel caso del delitto di cui all’art. 612-bis c.p.) di un evento di ‘danno’ consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di ‘pericolo’, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; sicché deponendo, invece, la compiuta ricostruzione effettuata dai giudici di merito per la piena sussistenza di almeno uno degli eventi richiesti dalla norma incriminatrice non risulta consentita l’auspicata riqualificazione”.

  • Il bene giuridico tutelato nel reato di Molestia e disturbo alle persone -art. 660 c.p.

“La contravvenzione di molestia o disturbo alle persone ha come elemento costitutivo del reato, quale bene giuridico tutelato, quello dell’ordine pubblico e della tranquillità pubblica, deducibile dall’indicazione per cui la commissione del fatto deve avvenire ‘in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero col mezzo del telefono’”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. V, (data ud. 04.04.2024), dep. 28.05.2024, n. 21006, la Corte è stata chiamata a esaminare un caso piuttosto complesso. La Corte d’appello di Milano era stata adita con appello del Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio avverso la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, la quale aveva riqualificato il delitto di cui agli artt. 81, 612-bis c.p., parzialmente aggravato dall’odio razziale, nella contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. Il Tribunale aveva quindi condannato l’imputato alla pena dell’ammenda. La Corte territoriale ha trasmesso gli atti alla Corte di cassazione, rilevando l’inappellabilità della sentenza di condanna a pena dell’ammenda. L’impugnazione ha lamentato l’errore di diritto commesso dal primo giudice nella derubricazione del delitto di cui all’art. 612-bis c.p. nella contravvenzione di cui all’art. 660 c.p., anche per erronea e mancata valutazione degli elementi probatori e ha denunciato la relativa contraddittorietà o carenza della motivazione.

La Corte ha giudicato tale ricorso fondato in quanto: “è consolidato principio di diritto che nel delitto previsto dall’art. 612-bis c.p. che ha natura abituale, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice”.

La Corte ha sottolineato, quindi, a riguardo dell’operata riqualificazione giuridica dell’originario addebito di atti persecutori nel paradigma di cui all’art. 660 c.p. che, per costante orientamento dei giudici nomofilattici: “il discrimen fra il delitto di cui all’articolo 612-bis e il reato di molestie è costituito dal diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta, configurandosi il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato; e che alle ‘molestie’ si sono affiancati altri comportamenti oppressivi, come i danneggiamenti, gli imbrattamenti e le minacce, tipicamente espressivi del delitto di cui all’art. 612-bis c.p.; per altro verso, la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone reca quale elemento costitutivo del reato, indicativo della sua riconducibilità alla tutela del bene giuridico dell’ordine pubblico e della tranquillità pubblica, la commissione del fatto ‘in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero col mezzo del telefono’, circostanze che appaiono insussistenti nel caso di specie – ove il contegno invasivo e prevaricatore pare riservato ai rapporti interpersonali nel contesto di un privato condominio”. Pertanto, la Corte ha accolto il ricorso stabilendo che la sentenza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio per nuovo giudizio al medesimo Tribunale.