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Rassegna sul Reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi, art. 572 c.p. – Aggiornamento a ottobre 2024

La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione sul reato di “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” (art. 572 bis c.p.). Le pronunce sono state selezionate tra le sentenze depositate tra maggio e settembre 2024 in materia, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini e Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.

  • Reato di maltrattamenti in famiglia e reciprocità delle offese

“Il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione. Ciò che caratterizza il reato in esame non è la circostanza che le offese siano o meno reciproche, quanto, piuttosto, l’asimmetria di posizione, nel contesto della coppia, che si genera per effetto dei comportamenti di una parte nei confronti dell’altra; rileva, cioè, il contesto diseguale di coppia in cui si consumano le condotte”.

Nella sentenza Cass. pen., Sez. VI (data ud. 08.05.2024), dep. 20.08.2024, n. 32686, la Corte ha esaminato un caso in cui l’imputato è stato condannato per i reati di maltrattamenti in famiglia in danno della convivente.

La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’insussistenza del requisito della fattispecie costituito dalla sottomissione/supremazia tra le parti, ovvero dell’uomo sulla compagna. La Corte d’appello, richiamando un precedente di legittimità, avrebbe errato nel confermare la colpevolezza dell’imputato, essendo stato invece accertato che i fatti si sarebbero verificati in un contesto di reciprocità di offese, verbali e fisiche. Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe viziata anche rispetto alla prova del dolo, atteso che non vi sarebbe stata una volontà di prevaricazione e di infliggere condizioni di vita vessatorie e intollerabili.

I giudici hanno ritenuto il ricorso infondato stabilendo la non rilevanza dell’assunto difensivo per cui, essendo stata accertata la reciprocità delle offese, il reato di maltrattamenti in famiglia non sarebbe sussistente in quanto, in tali casi, mancherebbe una posizione di supremazia/sottomissione tra le parti. La Corte di cassazione ha spiegato come “il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato da comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, che, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione. Ciò che caratterizza il reato in esame non è la circostanza che le offese siano o meno reciproche, quanto, piuttosto, l’asimmetria di posizione, nel contesto della coppia, che si genera per effetto dei comportamenti di una parte nei confronti dell’altra; rileva, cioè, il contesto diseguale di coppia in cui si consumano le condotte”.

I giudici hanno sottolineato come “i maltrattamenti in famiglia si distinguono dalle liti ordinarie in quanto nel primo caso un soggetto, in posizione ‘sovraordinata’ impedisce all’altra di esprimere il proprio essere; nelle liti ordinarie, invece, le parti si confrontano, anche con veemenza, ma in posizione paritaria. È possibile che il soggetto maltrattato, nonostante la posizione di asimmetria, sia sottomesso e tuttavia reagisca e, sua volta, offenda l’altra parte, ma ciò non esclude il reato, perché anche in tali casi continua ad esservi una posizione di disuguaglianza tra le parti e continua ad esservi un soggetto sopraffattore e un soggetto sopraffatto”.

Nel caso di specie, i giudici hanno valutato che vi siano stati comportamenti aggressivi, reiterati, unilaterali da parte dell’imputato nei confronti della parte offesa e come questa, davanti alle aggressioni dovute anche all’abuso di alcool del ricorrente, abbia reagito con azioni verbali e fisiche. Il ricorso è stato, pertanto, rigettato dalla Corte.

  • Reato di maltrattamenti in famiglia e reciprocità delle offese (2)

“Il delitto di maltrattamenti non implica che le condotte provochino l’annullamento della volontà della persona offesa o che quest’ultima si trovi sempre e comunque in una condizione di impossibilità di reagire, dovendosi rilevare che la sussistenza di dissidi e litigi non può produrre alcun effetto compensativo rispetto al manifestarsi di comportamenti destinati a provocare un pervasivo stato di umiliazione e sofferenza”.

Nella sentenzaCass. pen., Sez. VI (data ud. 08.07.2024), dep. 08.08.2024, n. 32346, il caso prospettato alla Corte aveva ad oggetto un uomo che è stato riconosciuto colpevole del delitto di maltrattamenti ex art. 572, II comma, c.p. in danno della moglie e alla presenza delle figlie minori. Nel ricorso presentato dall’imputato si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 572 c.p.

La difesa lamenta che la persona offesa aveva manifestato i propri timori solo quando i Carabinieri le avevano chiesto se fosse disponibile ad accogliere il marito in regime di detenzione domiciliare, avendo solo di seguito disvelato il quadro complessivo delle condotte violente e maltrattanti di cui era stata vittima. Questo motivo di doglianza è stato ritenuto inammissibile. Inoltre, i giudici hanno lodato la Corte d’appello, la quale ha sottolineato che dal racconto della persona offesa era emerso un quadro grave e crescente di comportamenti maltrattanti, manifestatisi nel corso della vita matrimoniale e via via accentuatisi, sfociati in frequenti contrasti e litigi in cui, peraltro, dominava la condizione di paura della donna che, anche quando aveva fatto ritorno a casa della madre, ha fatto riferimento a condotte ingiuriose e minacciose, talvolta sfociate in schiaffi e spintoni.

In tal modo, indicano i giudici, “è stato delineato un quadro di condotte abituali, tali da provocare nella persona offesa uno stato di sofferenza e umiliazione, non potendo assumere, per contro, alcun rilievo la circostanza che la relazione matrimoniale fosse contrassegnata da litigiosità e da reciproci scontri. Va invero, in primo luogo, rimarcato come il delitto di maltrattamenti non implichi che le condotte provochino l’annullamento della volontà della persona offesa o che quest’ultima si trovi sempre e comunque in una condizione di impossibilità di reagire, dovendosi in secondo luogo rilevare che la sussistenza di dissidi e litigi non può produrre alcun effetto compensativo rispetto al manifestarsi di comportamenti destinati a provocare uno stato di umiliazione e sofferenza”. Per questi motivi la Corte ha giudicato il ricorso inammissibile.

•            L’abitualità della condotta nel reato di maltrattamenti familiari – art. 572 c.p.

“L’abitualità delle condotte nel reato di maltrattamenti sussiste in presenza di continue umiliazioni verbali, percosse, minacce, che determinano il fondato timore per la propria incolumità”.

Nella sentenza Cass. pen., Sez. III (data ud. 04.06.2024), dep. 19.08.2024, n. 32678, la Corte ha giudicato un caso in cui l’imputato è stato condannato per i reati di cui agli articoli 609-bis e 572 c.p. in danno della coniuge. Avverso il provvedimento la difesa l’imputato ha proposto ricorso sui presupposti che seguono. In un motivo del ricorso la difesa deduce la nullità della sentenza in relazione all’erronea applicazione dell’articolo 572 c.p., con specifico riferimento al requisito della “abitualità” della condotta. I difensori indicano che in realtà gli episodi raccontati dalla persona offesa e dal figlio non sono mai contestualizzati in modo preciso e comunque vadano inquadrati all’interno di una dinamica familiare difficile, caratterizzata da continui litigi fra due coniugi in fase di separazione.

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile in quanto, relativamente all’abitualità della condotta è emerso che questa è stata formata da “continue umiliazioni verbali, percosse, minacce, che determinavano il fondato timore per la propria incolumità, tanto da costringere la persona offesa a dormire in una stanza con un mobile addossato alla porta per evitare che l’imputato potesse entrare”.

  • Elemento oggettivo nel reato di maltrattamenti in famiglia – art. 572 c.p.

“Il delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede necessariamente condotte di violenza fisica come percosse e lesioni, essendo sufficiente anche la reiterazione sistematica di ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla persona offesa, quali atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano anche in vere e proprie sofferenze morali”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. VI (data ud. 25.06.2024), dep. 06.08.2024, n. 32033, la Corte viene investita di un caso in cuiInizio modulo l’imputato è stato condannato per il reato di cui all’art. 572 c.p. Il ricorrente propone ricorso in Cassazione e deduce l’assenza degli elementi oggettivi necessari ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia, con particolare riferimento alla pluralità ed abitualità delle condotte vessatorie.

I giudici hanno ribadito che: “per la configurabilità del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. si richiede l’instaurazione di un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la personalità della vittima, che viene sottoposta ad una serie di sofferenze anche soltanto morali in modo abituale, in quanto gli atti di maltrattamento possono prescindere dal ricorso alla violenza fisica, allorché le umiliazioni continue e ripetute rendano comunque abitualmente dolorose le relazioni familiari”. I giudici hanno indicato che anche la privazione dei mezzi materiali necessari per vivere e la limitazione della libertà personale attraverso l’imposizione di ingiustificati divieti e la ritorsione per comportamenti ritenuti inappropriati da parte del coniuge in preda ad ossessioni dovute alla gelosia. Tali condotte sono idonee a svilire la persona offesa attraverso sistematiche denigrazioni e umiliazioni protrattesi, nel caso preso in esame, per un lungo arco di tempo.

Infatti, indicano i giudici: “secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede necessariamente condotte di violenza fisica come percosse e lesioni, essendo sufficiente anche la reiterazione sistematica di ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, quali atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali”. La Corte ha, pertanto, rigettato il ricorso.