Rassegna sul Reato di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, art. 612 ter c.p. Aggiornamento a ottobre 2024
La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (art. 612 ter c.p.). Le pronunce citate sono state selezionate tra le sentenze depositate sulla materia tra maggio e settembre 2024, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.
- Elementi costitutivi del reato – art. 612 ter, II comma, c.p.
“Integra il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento. Il reato è integrato anche quando il materiale sessualmente esplicito è pubblicato dalla persona ritratta su piattaforme pubbliche e da lì viene però inviato o caricato da un terzo, senza il suo consenso, su altre piattaforme pubbliche”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. V (data ud. 05.03.2024), dep. 27.06.2024, n. 25516, la Corte esamina un caso in cui l’imputato è riconosciuto colpevole dei reati, unificati dalla continuazione, previsti dall’art. 612-bis c.p. (c.d. stalking), e dall’art. 612-ter, II comma, c.p. perché, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche grazie alla relazione instaurata con la persona offesa, immagini e video che ritraevano quest’ultimo nell’atto di compiere atti sessuali, li diffondeva attraverso siti di incontri e li inviava a mezzo e-mail a molteplici destinatari.La difesa dell’imputato ha proposto ricorso in Cassazione e deduceva la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 612-ter c.p., in quanto le foto e i video della persona offesa inseriti dall’imputato su siti web di incontri sarebbero stati disponibili liberamente in altri siti in cui la stessa persona offesa aveva pubblicato suoi contenuti, sicché l’utilizzo del materiale non potrebbe dirsi indebito.
La Corte, all’interno della sentenza, sottolinea che il delitto in esame è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale. La prassi giurisprudenziale ha quindi fatto propria un’interpretazione ampia della fattispecie, volta a estendere la tutela di una delle sfere più intime della persona. Pertanto, indicano i giudici, “ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612-ter c.p., si è ritenuto che la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti possa avere ad oggetto immagini o video che ritraggano atti sessuali ovvero organi genitali ovvero anche altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualità; e che integri il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento”.
Nel caso preso in esame, la Corte sottolinea che proprio le caratteristiche dei siti web di incontri su cui le immagini erano state acquisite dall’imputato dimostra l’infondatezza della tesi difensiva. Infatti, essendo l’accesso a tali siti e piattaforme limitato alle sole persone che vi si erano iscritte attraverso un’apposita procedura di registrazione, le fotografie non erano liberamente acquisibili e trasmissibili, essendo tale facoltà circoscritta, in virtù del consenso prestato dalla persona ritratta al momento dell’apertura dell’account, soltanto agli appartenenti alla comunità virtuale cui erano state originariamente inviate e unicamente all’interno di essa. L’acquisizione di materiale da queste piattaforme e la sua diffusione in altre rappresenta, pertanto, una violazione della libertà di autodeterminazione della sfera sessuale della persona ritratta, che è l’unica che può disporre del proprio materiale fotografico anche quando questo è stato già condiviso pubblicamente in altre sedi. La Corte ha, pertanto, rigettato il ricorso.
- Elementi costitutivi del reato – art. 612-ter, I comma, c.p.
“Gli elementi costitutivi del reato (I comma dell’art. 612-ter c.p.) risiedono nella fuoriuscita, del materiale connotato da contenuto sessuale esplicito, dall’originario perimetro relazionale privato. All’assenza di consenso come requisito di tipicità si accompagna anche la caratterizzazione ‘privata’ della destinazione dell’oggetto materiale del reato, ossia il materiale sessualmente esplicito. I due requisiti, la destinazione privata e la mancanza di consenso, devono sussistere entrambi contemporaneamente e non possono operare in alternativa tra loro”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. V (data ud. 01.03.2024), dep. 20.06.2024, n. 24379, la Corte analizza un caso di c.d. ‘revenge porn’. L’imputato, nei motivi del ricorso, denuncia violazione di legge in riferimento all’art. 612-ter c.p. in quanto, secondo l’interpretazione della difesa, la norma incriminatrice è inserita nei delitti contro la libertà morale, il che significa che la diffusione deve intervenire senza il consenso delle persone rappresentate e deve riguardare materiali sessualmente espliciti destinati a rimanere privati. I materiali però, ha indicato la difesa, dovrebbero essere realizzati consensualmente, tant’è che la condotta può essere realizzata solo da chi ha operato la ripresa o da chi se ne è indebitamente impossessato, sottraendola a chi l’aveva realizzata. Nel caso preso in esame, invece, la ripresa era stata frutto di intercettazione ambientale a totale insaputa dei soggetti ripresi per cui, salva la violazione del principio di legalità e tassatività, essa non può essere considerata alla stregua del materiale indicato dall’art. 612-ter, I e III comma c.p. Inoltre, aggiunge la difesa nel ricorso, la persona indagata aveva legittimamente acquisito la registrazione in quanto persona sottoposta ad indagini nell’ambito del procedimento in cui l’intercettazione era stata disposta.
La Corte ha ritenuto il ricorso fondato ed ha indicato che la vicenda in esame è incentrata sulla condotta del ricorrente che, avendo estratto copia delle registrazioni video captate in seguito ad intercettazioni eseguite nell’ambito di un procedimento penale iscritto a carico del ricorrente stesso, aveva individuato una registrazione, penalmente irrilevante, che ritraeva la persona offesa intenta a consumare un rapporto sessuale all’interno dell’aula consiliare, suo luogo di lavoro. Tale ambiente, infatti, era stato sottoposto ad intercettazione ambientale nell’ambito del procedimento penale nei confronti dell’imputato. Quest’ultimo, quindi, essendo entrato in possesso delle registrazioni suddette aveva riversato la detta registrazione sul proprio cellulare e su di una pen-drive, su cui era versato anche altro materiale, relativo alla sua tesi difensiva. Sia il cellulare che la pen-drive erano stati sottoposti a sequestro probatorio, sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa persona sottoposta ad indagini preliminari, quali mezzi utilizzati per commettere il reato di cui all’art. 612-ter, II comma, c.p. La persona offesa, in sede di querela, aveva riferito di aver appreso che il video che lo riguardava era stato diffuso o stava per essere diffuso da soggetti che ne avevano avuto la disponibilità; dagli accertamenti svolti sul cellulare dell’imputato era risultato, infatti, che questi aveva diffuso, tramite whatsapp, a terzi il video di cui era venuto in possesso.
Sulla base di tale ricostruzione il Tribunale del riesame ha osservato che la condotta, come descritta, dovesse essere ricondotta al delitto di cui all’art. 612-ter, II comma, c.p. e non al comma I. La Corte, nel motivare la decisione, ha indicato che la fattispecie di reato contestata, ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, di cui all’art. 612-ter c.p. “sia stata introdotta nel nostro ordinamento in seguito a fenomeni sempre più diffusi e culminati in noti fatti di cronaca, comunemente indicati utilizzando l’espressione di lingua anglosassone ‘revenge porn’. Ancor prima che tali condotte assumessero rilievo nella dimensione penalistica – il neologismo revenge porn era già entrato a far parte del linguaggio di uso corrente, sulla scia di quanto già avvenuto nel mondo anglosassone, in cui l’espressione, dapprima colloquiale ed appartenente al linguaggio slang, si è diffusa a tal punto da penetrare nel Dizionario di Cambridge, che la definisce come ‘private sexual images or films showing a particular person that are put on the internet by a former partner of that person, as an attempt to punish or harm them’. (continua la Corte) L’autore di ‘revenge porn’, secondo tale terminologia, è, quindi, in via esclusiva l’ex partner, che, con la finalità di ottenere vendetta, pubblica immagini intime o dal contenuto sessuale, destinate a rimanere private, ritraenti colui/colei che ha posto fine alla relazione sentimentale. I primi studiosi, in ambito anglosassone, hanno evidenziato come, maturando nell’ambito di una relazione sentimentale, questa forma di pornografia non può che essere ‘casalinga’ ed amatoriale, con l’esclusione, quindi, di tutte le forme di pornografia ‘ufficiali’ o commerciali. In definitiva, dunque, gli ingredienti essenziali per la configurazione di un’ipotesi di ‘revenge porn’, come risulta dall’elaborazione semantica della definizione, sono costituiti dalla creazione consensuale di immagini intime o sessuali all’interno di un contesto di coppia, dalla non consensuale pubblicazione delle stesse da parte di uno dei membri della coppia, e dalla finalità perseguita dall’ex partner, che pubblica le immagini, solitamente su Internet, per vendicarsi a seguito della rottura della relazione sentimentale. Nel linguaggio comune, tuttavia, i confini della definizione si sono dimostrati estremamente fluidi, nel senso che l’espressione ‘revenge porn’ è stata ben presto utilizzata per indicare tutte le varie, possibili forme di diffusione non consensuale di immagini sessualmente connotate”.
La Corte ha, come già indicato, giudicato il ricorso dell’imputato fondato. I giudici hanno sottolineato che non è possibile prescindere dalla valenza e dal rango elevato dei beni protetti dalla norma in esame, ossia i valori dell’intimità e della privacy, quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, a prescindere dal contesto e dalle finalità con le quali avviene la divulgazione. Ciò che rileva è, quindi, il diritto ad autodeterminarsi in ordine alla propria sfera sessuale, mediante un consenso libero ed effettivo, la cui mancanza assume un rilievo decisivo nell’individuazione della fattispecie. Questo assunto, indicano sempre i giudici, induce a ritenere che la condotta incriminata sia più ampia di quella realizzata unicamente nell’ambito di un pregresso rapporto sentimentale, nel cui contesto si sia verificato un utilizzo diverso, e pubblico, del materiale originariamente destinato a rimanere circoscritto e riservato.
La Corte sottolinea che: “la rubrica della norma (di cui al I comma) delinea la rilevanza penale della diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, senza alcun riferimento ad uno specifico contesto di pregressa relazione sentimentale; tale contesto fonda la circostanza aggravante delineata al comma terzo dell’articolo, il che rende evidente come il fulcro della incriminazione sia costituito dalla totale assenza di consenso della persona offesa alla divulgazione dei materiali a contenuto sessuale esplicito, a prescindere da qualsiasi intento di rivalsa dell’autore del reato e dall’inquadramento della condotta in un precedente legame sentimentale. La rilevanza penale delle condotte descritte nelle fattispecie incriminatrici, quindi, risiede nella fuoriuscita del materiale, connotato da contenuto sessuale esplicito, dall’originario perimetro relazionale privato, per cui all’assenza di consenso come requisito di tipicità si accompagna anche la caratterizzazione ‘privata’ della destinazione dell’oggetto materiale del reato, ossia il materiale sessualmente esplicito; i due requisiti – la destinazione privata e la mancanza di consenso – devono sussistere entrambi contemporaneamente e non possono operare in alternativa tra loro” (per potersi applicare il I comma dell’art. 612-ter c.p).
Tali requisiti non risultano in alcun modo ricorrere nel caso in esame, in cui, pur dovendosi convenire con l’evidente assenza di consenso alla divulgazione da parte della persona offesa, alla luce delle descritte modalità della concreta vicenda non può che constatarsi come l’autore del fatto sia un soggetto del tutto diverso da colui che aveva realizzato il materiale, né risulti che egli se ne sia appropriato sottraendolo, come evidenziato dalla stessa motivazione del provvedimento impugnato. La Corte ha, pertanto, ritenuto il ricorso fondato per falsa applicazione dell’art. 612-ter, I comma, c.p.
- I “contenuti sessualmente espliciti” nell’art. 612-ter c.p.
“La locuzione normativa ‘a contenuto sessualmente esplicito’ non rimanda evidentemente e necessariamente alla diffusione di video o immagini di un organo proprio dell’apparato sessuale-riproduttivo in senso medico-scientifico, né tantomeno allude solo ad un atto sessuale vero e proprio, essendo evidente che la sessualità di una persona, vittima del reato, può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo ‘erogene’ diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l’istinto sessuale: tali ‘zone erogene’ possono essere il seno e i glutei, ancor più se nudi ovvero in condizioni di contesto che richiamino il sesso”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. I (data ud. 28.03.2024), dep. 28.08.2024, n. 33230, il caso presentato dinnanzi alla Corte ha riguardato un uomo che è stato condannato per i reati di cui all’art. 612 bis e 612 ter c.p., commessi ai danni della persona offesa, già legata all’imputato da una relazione sentimentale extraconiugale. Il fatto si può riassumere con l’imputato che, insofferente alla decisione della persona offesa di troncare il rapporto sentimentale, ha preso a molestarla e minacciarla ripetutamente e a ingiuriarla, nonché a prospettare di rivelare la loro storia ai suoi due figli e al marito. Attuava poi il proposito con l’invio a questi, oltre che di messaggi offensivi nei confronti della madre, di foto dai contenuti sessualmente espliciti (una la ritraeva, a seno nudo, nell’atto di mimare un bacio definito “erotizzante”, foto trasmessa tramite messaggistica telefonica anche ad un’amica della donna). Da tale comportamento è derivato un grave stato d’ansia della persona offesa e un radicale mutamento delle sue abitudini di vita, con l’interruzione della convivenza matrimoniale e la necessità, per la persona offesa, di andare a vivere dalla madre.La tesi difensiva è che non vi sarebbe certezza probatoria del fatto che sia stato l’imputato a diffondere la foto a seno nudo della vittima, inviandola ai figli e ad un’amica di lei, e che le dichiarazioni della persona offesa non sarebbero precise né avrebbero attendibilità certa.I motivi del ricorso sono tre: a) se l’invio della foto al figlio (rectius ai figli) della vittima abbia una connotazione “diffusiva”, visto che l’imputato, inoltrandogliela, aveva la certezza che questi non l’avrebbe a sua volta diffusa; b) se sussista, nel caso di specie, il dolo specifico di aver agito con la finalità di ‘recare nocumento alla persona offesa’; c) se possa essere ricompresa nella categoria delle ‘immagini a contenuto sessualmente esplicito’ la foto che ritrae la vittima a seno nudo, mentre mima un bacio serrando le labbra, che, secondo la difesa, non rientra nella tipicità penale, che ricomprenderebbe soltanto le immagini che raffigurano organi genitali ovvero atti sessuali.
La Corte ha rigettato il ricorso ed ha iniziato a motivare la decisione indicando che il ricorrente è stato correttamente condannato per l’ipotesi delittuosa prevista dal II comma dell’art. 612-ter c.p. che punisce chi, “avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento”.
Per quanto riguarda le questioni poste dalla difesa, la prima è manifestamente infondata poiché è evidente che integra un ‘invio’ rilevante ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 612-ter c.p. quello che venga effettuato ‘verso chiunque’, purché senza il consenso della persona ritratta, da parte di chi, ‘in qualsiasi modo’ abbia acquisito l’immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito. Il reato, infatti, indicano i giudici, è configurabile come istantaneo e si consuma nel momento in cui avviene il primo invio dei contenuti sessualmente espliciti, non importa se diretto a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione. In realtà, con il primo invio, la diffusione è già avvenuta, per quanto stabilito dalla disposizione incriminatrice, che non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva né ‘quantifica’ o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto.
Per quanto riguarda la seconda questione, i giudici sottolineano che il dolo specifico del reato previsto dal II comma dell’art. 612-ter c.p. è stato diffusamente accertato poiché l’invio della foto a seno nudo della persona offesa è stato effettuato dall’imputato evidentemente senza il suo consenso, proprio con la finalità di provocarle un nocumento; inoltre, con l’invio, il ricorrente ha anche informato la famiglia, senza il consenso della persona, della relazione extraconiugale tre lui e lei, mosso, nel suo agire da quel fine ulteriore e tipico del c.d. ‘revenge porn’, ovvero dalla ‘vendetta’ nei suoi confronti, ed integrato dal movente di ‘punirla’ per aver deciso unilateralmente di interrompere il rapporto tra loro.
Infine, è stato definito infondato anche il quesito circa il contenuto sessualmente esplicito della foto al centro della contestazione. La difesa del ricorrente sembra limitare la nozione di ‘contenuti sessualmente espliciti’ soltanto alle immagini o ai video che ritraggano organi genitali -e dunque non ricomprendendo il seno femminile tra questi, ancorché nudo -ovvero atti sessuali veri e propri.
La Corte invece ha stabilito che: “anzitutto, si osserva che la locuzione normativa ‘a contenuto sessualmente esplicito’ non rimanda evidentemente e necessariamente alla diffusione di video o immagini di un organo proprio dell’apparato sessuale-riproduttivo in senso medico-scientifico, né tantomeno allude solo ad un atto sessuale vero e proprio, essendo evidente che la sessualità di una persona, vittima del reato, può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo ‘erogene’ diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l’istinto sessuale: tali ‘zone erogene’ possono essere il seno e i glutei, ancor più se nudi ovvero in condizioni di contesto che richiamino il sesso. Sicché, qualora la diffusione avvenga senza il consenso della persona offesa, si stabilizzerà una violazione della libertà di autodeterminazione della sua sfera sessuale complessivamente intesa, rilevante ai sensi del II comma dell’art. 612-ter c.p. se, come si è più volte precisato, accompagnata dal dolo specifico di recare nocumento alla persona le cui immagini (o video) vengano diffusi”. Con tali motivazioni la Corte ha rigettato il ricorso in tutte le sue parti.
- Differenze tra i reati dell’art. 612 bis e art. 612 ter c.p.
“I reati degli art. 612 bis c.p. (c.d. ‘stalking’) e art. 612 ter c.p. sono differenti per molte ragioni. 1) Per ciò che riguarda le condotte incriminate, costituite nell’art. 612-bis da comportamenti minacciosi o molesti e nell’art. 612-ter cod. pen. nella diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito (in assenza del requisito della violenza o della minaccia). 2) Sono diversi gli eventi, ravvisabili per lo stalking nell’induzione nella vittima di stati di ansia, paura o timore per l’incolumità propria o di congiunti, ovvero nella costrizione della persona offesa all’alterazione delle proprie abitudini di vita; eventi all’evidenza non richiesti per la configurabilità del revenge porn. 3) Sono differenti i beni giuridici tutelati. Nonostante, invero, i due reati siano collocati nel Codice penale tra quelli che ledono la libertà morale, l’art. 612 ter si atteggia quale reato plurioffensivo, incidendo anche sulla privacy della persona offesa (come impone di ritenere l’inciso ‘destinati a rimanere privati’), nonché sulla sfera sessuale, a causa del carattere ‘sessualmente esplicito dei materiali diffusi’”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. I (data ud. 28.03.2024), dep. 28.08.2024, n. 33230, la Corte è stata investita di un caso ove l’imputato era stato condannato per i reati di cui all’art. 612 bis e 612 c.p. Tra i motivi del ricorso in Cassazione il ricorrente ha sostenuto che la sentenza dovrebbe essere annullata limitatamente al reato di cui all’art. 612-ter c.p. con conseguente rideterminazione della pena, poiché l’art. 612-bis c.p. si atteggerebbe a reato complesso, contenente oltre ai reati di minaccia continuata o di molestie continuate, anche il delitto di ‘revenge porn’ continuato, sempre ove si verifichi uno degli eventi alternativamente richiesti da tale norma. Secondo la difesa dell’imputato quindi, l’art. 612-bis c.p. coprirebbe anche le condotte previste dal reato c.d. ‘revenge porn’ le cui condotte sono descritte nell’art. 612-ter c.p.
La Corte, rigettando il ricorso, ha sottolineato che “i due reati differiscono, in primo luogo, per ciò che riguarda le condotte incriminate, costituite nell’art. 612-bis da comportamenti minacciosi o molesti e nell’art. 612-ter cod. pen. nella diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito (in assenza del requisito della violenza o della minaccia). In secondo luogo, sono diversi gli eventi, ravvisabili per lo stalking nell’induzione nella vittima di stati di ansia, paura o timore per l’incolumità propria o di congiunti, ovvero nella costrizione della persona offesa all’alterazione delle proprie abitudini di vita; eventi all’evidenza non richiesti per la configurabilità del revenge porn. Sono altresì differenti i beni giuridici tutelati. Nonostante, invero, i due reati siano collocati nel Codice penale tra quelli che ledono la libertà morale, l’art. 612 ter si atteggia quale reato plurioffensivo, incidendo anche sulla privacy della persona offesa (come impone di ritenere l’inciso ‘destinati a rimanere privati’), nonché sulla sfera sessuale, a causa del carattere ‘sessualmente esplicito dei materiali diffusi’”.