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Rassegna su Molestie nei luoghi di lavoro. Aggiornamento a ottobre 2024

La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di molestie occorse in luoghi di lavoro. Le pronunce citate sono state selezionate tra le sentenze depositate sulla materia tra maggio e settembre 2024, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.

  • Art 609 bis c.p. – Violenza sessuale commessa in qualità di datore di lavoro ai danni di una lavoratrice

“L’approfittamento della propria condizione di datore di lavoro per compiere un abuso sessuale può rappresentare un elemento per valutare la pericolosità dell’imputato ai fini dell’applicazione di misure cautelari; una tale condizione può, infatti, provare il rischio di reiterazione di tali condotte da parte del soggetto”.

Nella sentenza Cass. pen., Sez. III (data ud. 07.05.2024), dep. 30.07.2024, n. 31120, l’indagato ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con cui è stata rigettata la richiesta di sostituzione della misura degli arresti domiciliari con altra misura meno afflittiva, disposta in relazione alla contestazione provvisoria del reato di cui all’art 609 bis c.p., commesso nella qualità di datore di lavoro ai danni di una propria lavoratrice, la quale si era recata ad un appuntamento con il ricorrente, al di fuori del luogo di lavoro, al fine di consegnargli una busta.

La difesa fonda il ricorso su due motivi. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta vizio della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e travisamento di prove, contestando la coerenza e attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, che ha negato di aver prestato consenso al rapporto sessuale. Infine, il ricorrente lamenta vizio della motivazione in ordine alle esigenze cautelari, contestando la concretezza e l’attualità della valutazione di pericolosità.

La Corte ha ritenuto che il primo motivo di ricorso esuli dalle possibili censure deducibili in sede di legittimità. I giudici hanno rigettato anche il secondo motivo del ricorso perché il Tribunale avrebbe correttamente evidenziato il pericolo concreto e attuale di reiterazione di condotte criminose, in considerazione delle modalità di esecuzione della condotta, sintomatiche della incapacità dell’indagato di controllare i propri impulsi sessuali, posto che egli aveva messo in atto una serie di condotte preparatorie seduttive. Egli, indicano i giudici riprendendo il giudice di prime cure, “si era presentato come una figura ‘paterna’, invitando la donna in un appartamento ad uso di studio con la scusa di dargli dei consigli di vita, tutte condotte strumentali a carpire la fiducia della donna, giungendo persino, al termine del rapporto, ad intimare la vittima a non dire nulla, approfittando del ruolo di datore di lavoro e dello stato di debolezza della donna che ne rende ancora più biasimevole la condotta”.

Il giudice ha quindi confermato la condanna per violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., I comma, ed ha inoltre evidenziato il pericolo di reiterazione criminosa, anche in ragione della posizione lavorativa svolta dall’indagato, ritenendo dunque l’attualità del pericolo specifico di commissione di reati della stessa specie. Per tutti questi motivi la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

  • Misure interdittive e violenza o molestia sessuale nei luoghi di lavoro

“L’approfittamento della propria condizione apicale sul luogo di lavoro per compiere abusi sessuali può rappresentare un elemento per valutare l’imputato ai fini dell’applicazione di misure interdittive”.

Con la sentenza Cass. pen., Sez. III (data ud. 05.07.2024), dep. 25.07.2024, n. 30535, il Tribunale di Torino previa riqualificazione dei fatti in violazione dell’art. 609-bis c.p. confermava l’ordinanza con la quale era stata applicata, nei confronti del ricorrente, la misura interdittiva, per mesi dodici, del divieto di esercitare, in proprio o per interposta persona, imprese o di ricoprire uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese.

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, argomentando vari motivi. Con il primo motivo deduceva mancanza e manifesta illogicità della motivazione, perchè la persona offesa non ricorderebbe se il fatto da ella descritto sarebbe avvenuto o meno durante gli orari di lavoro. Con il secondo motivo sosteneva che la persona offesa, oltre a denunciare molestie di natura sessuale mai esistite, avrebbe denunciato molestie e maltrattamenti operati nei confronti di alcuni ospiti della struttura dove lei lavorava sotto il controllo dell’imputato, azioni che sarebbero state smentite e sconfessate a seguito dell’intervento dei NAS, dell’ASI, e della Commissione di Vigilanza che avevano, invece, verificato le perfette condizioni e le cure ed attenzioni premurose di cui gli ospiti godevano.

La Corte ha giudicato il ricorso manifestamente infondato, ritenendo che il Tribunale abbia correttamente valutato le dichiarazioni accusatorie della persona offesa credibili e sufficientemente riscontrate. Inoltre, i giudici di prime cure hanno valorizzato gli indiretti riscontri costituiti dalle dichiarazioni di un testimone che ha confermato di essere stato informato dalla denunciante delle molestie da costei subite, così come ha riferito di comportamenti dello stesso tipo posti in essere dal ricorrente nei confronti di altre dipendenti; ha valorizzato gli ulteriori riscontri costituiti dalle dichiarazioni di altre dipendenti, le quali hanno riferito di aver subito attenzioni e molestie a carattere sessuale. Il Tribunale ha riscontrato un clima conflittuale tra i dipendenti della struttura, evidenziando come alcune dipendenti miravano a “coprire” la condotta del ricorrente ed è emerso, dalle chat acquisite, l’esclusione del carattere occasionale degli abusi sessuali ad opera dell’indagato. La Corte ha sottolineato come il G.I.P. abbia valutato, attraverso l’esame della memoria telefonica del ricorrente, come l’uomo fosse totalmente vinto dal desiderio sessuale e privo di ogni remora rispetto allo sfruttare la propria posizione apicale all’interno della struttura assistenziale per convincere, con modi tutt’altro che leciti, svariate dipendenti a cedere alle sue richieste.

  • Definizione di molestia sessuale quale forma particolare di molestia ex art. 660 c.p. Il caso di una molestia sessuale sul luogo di lavoro

“La molestia sessuale, che è una forma particolare di molestia prevista e punita dall’articolo 660 c.p., prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale.”

Nella sentenza Cass. pen., Sez. III, (data ud. 28.05.2024), dep. 22.07.2024, n. 29729, la Corte esamina un caso in cui l’imputato è stato condannato per il reato di cui agli artt. 81 e 609-bis c.p. L’imputato, nella sua qualità di dipendente di un bar pizzeria, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in maniera improvvisa e repentina palpeggiava il fondo schiena della persona offesa, di anni sedici, sua collega di lavoro. Nel ricorso proposto in Cassazione la difesa dell’uomo lamenta che la Corte di appello, nonostante gli fosse stato presentato tale specifico motivo di gravame, non aveva dato motivazione sulla richiesta della difesa di derubricazione del delitto contestato da violenza sessuale al reato di cui all’art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone).

La Corte ha giudicato il ricorso manifestamente infondato indicando che: “secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità la molestia sessuale, che è una forma particolare di molestia prevista e punita dall’articolo 660 c.p. prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale”.

Sul caso preso in esame la Corte precisa però che: “se dalle espressioni verbali a sfondo sessuale si passa ai toccamenti a sfondo sessuale – come appunto è stato accertato essere avvenuto nella specie – si realizza il delitto di abuso sessuale consumato o tentato a seconda della natura del toccamento e delle circostanze del caso. Per questi motivi il ricorso viene rigettato”.