Le Multidiscriminazioni sulla base del genere e della disabilità*. Il quadro normativo internazionale
Il post è stato redatto da Francesca Fantigrossi, operatrice antiviolenza presso il Cav “Sara di Pietrantonio” – Università Roma Tre, Ass. Casa delle Donne Lucha Y Siesta.
Indice: Introduzione/ 1. Definizione di Multidiscriminazioni/ 2. Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW)/ 3. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità/ 4. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul)/ 5. Trasformare il nostro mondo: L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile/ 6. Commento Generale n. 3 del Comitato ONU sulle donne con disabilità/ 7. 2° Manifesto sui Diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea/ 8. Il 3° Manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea. Empowerment e Leadership/ 9. Il ‘Rapporto Ombra’ sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità in Italia/ 10. Le osservazioni rivolte all’Italia dal Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione contro le donne/ 11. Le donne con disabilità nel ‘Rapporto Ombra’ sulla violenza di genere delle Organizzazioni femminili/ Conclusioni. Alcune proposte per contrastare le Multidiscriminazioni delle donne e delle ragazze con disabilità.
Introduzione
Nell’epoca a noi contemporanea sono ancora presenti, nella vita delle donne e delle ragazze, ostacoli alla loro realizzazione e autodeterminazione. Nonostante lotte, conquiste, rivendicazioni che hanno portato al raggiungimento degli stessi diritti degli uomini, le donne continuano a disporre di minori opportunità e ad imbattersi in molti svantaggi. Ancora oggi in molti casi il ruolo delle donne viene relegato alla sfera domestica e allo svolgimento delle funzioni di procreazione e cura.
Dal report del World Economic Forum del 2020, il Global Gender Gap Report[1], ossia il rapporto globale sul divario di genere, emerge il peggioramento della situazione del nostro Paese, che si trova al 76° posto su un totale di 153 Paesi. Per quanto concerne la presenza delle donne nel mercato del lavoro l’Italia è attualmente ultima in Europa[2]: le donne sono meno pagate rispetto ai colleghi uomini, spesso svolgono lavori precari e sono impiegate in settori meno strategici. Inoltre, non vi sono sufficienti servizi che potrebbero facilitare la conciliazione tra vita e lavoro e, anche nel momento in cui si occupano, incontrano ostacoli e difficoltà per mantenere una “carriera” regolare.
Suddetti ostacoli e minori opportunità riguardano le donne con disabilità in misura maggiore rispetto alle altre donne. Infatti, queste subiscono una molteplice discriminazione: in quanto donne e in quanto persone con disabilità. Solo negli ultimi anni è stata presa in considerazione l’intersezionalità tra questi ambiti. Sono molteplici le difficoltà che possono incontrare le persone con disabilità: barriere comunicative, percettive e fisiche; pregiudizi e stereotipi relativi alla disabilità; assenza o carenza di servizi di assistenza; difficoltà ad esercitare il diritto allo studio e al lavoro; minore accesso ai servizi sanitari; scarsa presenza nei ruoli apicali e nelle posizioni decisionali e una rappresentazione mediatica spesso inadeguata.
Nella nostra società, e molto spesso nelle stesse donne con disabilità[3], non vi è una grande consapevolezza di tutti gli ostacoli e le barriere che queste donne incontrano nella loro vita. Accade, di fatto, che la disabilità metta in ombra tutte le altre caratteristiche della persona, tanto che molte donne con disabilità affermano di sentirsi più discriminate in quanto persone con disabilità che in quanto persone di genere femminile[4]. Ciò trae origine dai nostri modelli culturali per i quali l’essere una persona con disabilità è considerato peggiore rispetto ad appartenere al genere femminile, al punto che molte persone arrivano a identificarsi con la propria disabilità. Questo “effetto moltiplicatore” delle discriminazioni combinate ha importanti ripercussioni nella maggior parte degli ambiti della vita delle bambine, delle ragazze e delle donne con disabilità: nello studio, salute, relazioni interpersonali, lavoro, opportunità economiche, partecipazione alla vita politica e sociale, pari riconoscimento davanti alla legge, accesso alla giustizia, controllo sul proprio corpo e sugli aspetti legati alla sfera sessuale e riproduttiva, esposizione alla violenza. L’assenza o la carenza di un’educazione alle problematiche del genere e del genere in relazione con la disabilità non hanno reso visibili e facilmente riconoscibili le discriminazioni generate dalla combinazione delle suddette variabili.
A livello europeo qualcosa sta cambiando, grazie soprattutto al lavoro del Forum Europeo sulla Disabilità (EDF), che ha prodotto tre Manifesti sui Diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità. Anche in Italia, nell’ultimo decennio, è stata messa in evidenza la difficoltà di accesso alle donne con disabilità ai servizi sanitari e sono state realizzate iniziative dedicate al tema della violenza di genere subita dalle donne con disabilità.
Nel 2019 la Camera dei deputati ha approvato quattro mozioni finalizzate al contrasto delle discriminazioni multiple delle donne con disabilità. Se è rilevante da un punto di vista politico che il Parlamento abbia affrontato il tema per la prima volta, dal punto di vista normativo invece non vi sono stati rilevanti cambiamenti, in quanto le mozioni parlamentari non hanno valore vincolante per l’ordinamento. In Italia, più in generale, l’approccio che valuta più discriminazioni insieme (multidiscriminazioni) non si è ancora affermato in maniera strutturale, così come le pratiche per contrastarle.
1. Definizione di Multidiscriminazioni
È necessario, a questo punto, spiegare in maniera più esaustiva che cosa si intende per multidiscriminazioni. Il concetto di multiscriminazioni sulla base del genere e della disabilità non esaurisce tutti gli altri livelli di discriminazione possibili e concomitanti e costituisce anch’esso una semplificazione. Le donne con disabilità, infatti, possiedono tante altre caratteristiche che – intrecciandosi tra di loro – concorrono a definire la loro identità multipla e in continua evoluzione, come vale per tutte le persone. Alcune di queste caratteristiche possono esporle ad un ulteriore rischio di discriminazione: l’età (si pensi alle minorenni e alle donne anziane); la provenienza (essere migranti o rifugiate), essere portatrici di identità di genere fluide o non binarie, avere un orientamento sessuale che non corrisponde all’eterosessualità come essere donne lesbiche e bisessuali.
Il riconoscimento delle discriminazioni multiple è oggetto di istanze sia nei confronti del mondo della politica e del diritto, sia verso il mondo della cultura. Per contrastare le discriminazioni nei confronti delle donne con disabilità queste ultime devono essere sempre parte attiva nei processi decisionali che riguardano le loro vite e il loro futuro, nel rispetto della loro autodeterminazione. Le discriminazioni nei confronti delle donne con disabilità si manifestano attraverso molteplici forme, alcune più visibili e altre più difficili da riconoscere. Imparare a conoscerle e riconoscerle è un fondamentale passo affinché sia possibile il loro contrasto. Il diritto italiano ed europeo vieta le discriminazioni sulla base della disabilità con trattati e convenzioni internazionali dedicate al contrasto delle discriminazioni delle donne e delle ragazze: dalla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne CEDAW (1979), seguita dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (2011), l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (2015) per arrivare ai Manifesti redatti dall’European Disability Forum (il primo redato nel 1997, il secondo nel 2011, il terzo nel 2024).
2. Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW)
La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne[5] è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979, entrata in vigore nel 1981 e, successivamente, ratificata dall’Italia con la Legge 132/1985[6]. Nella CEDAW non ci sono riferimenti diretti alla condizione delle donne con disabilità, ma può costituire un riferimento giuridico importante per la tutela dei loro diritti. Il suo obiettivo è quello di definire ciò che costituisce una discriminazione contro le donne e stabilire delle azioni di contrasto che debbono essere portate avanti a livello nazionale dagli stati firmatari. Nel testo la discriminazione contro le donne viene definita nei seguenti termini:
«ogni distinzione, esclusione o limitazione effettuata sulla base del sesso e che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile, sulla base della parità dell’uomo e della donna, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile, o in ogni altro settore[7]».
Gli Stati che aderiscono alla Convenzione si impegnano a mettere in atto delle misure (tra cui disposizioni legislative e misure temporanee speciali) volte a fermare le discriminazioni contro le donne in tutte le forme nelle quali si manifestano e che consentano loro il pieno esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà. La Convenzione, dunque, mira a realizzare la piena parità tra donne e uomini, tramite un equo accesso dei sessi alla vita pubblica e politica, alla salute, all’istruzione, all’occupazione, al diritto di voto e all’eleggibilità. La CEDAW è il primo trattato sui diritti umani che rivendica i diritti delle donne in materia di procreazione e mette in luce quanto la cultura patriarcale e la tradizione modellino i ruoli di genere e le relazioni familiari.
Nel corso degli anni sono stati elaborati protocolli e varie raccomandazioni alla CEDAW volte ad integrare i vari articoli e a sollecitare il monitoraggio e la condivisione dei rapporti redatti dagli Stati firmatari, includendo anche gli eventuali ostacoli incontrati nell’attuazione della Convenzione e le misure introdotte per superarli. È interessante prendere in esame la Raccomandazione generale n. 18 (1991) – Donne con disabilità[8], nella quale il Comitato CEDAW, considerando in particolare l’articolo 3 della Convenzione, dopo aver esaminato i rapporti periodici degli Stati ed avendo ravvisato che essi forniscono scarse informazioni sulle donne con disabilità, riconoscono che le stesse vivono una doppia discriminazione legata alle loro particolari condizioni di vita:
«(Il Comitato) Raccomanda agli Stati Parti di fornire nei loro rapporti periodici informazioni sulle donne con disabilità e sulle misure prese per affrontare la loro particolare condizione, ivi comprese le misure speciali volte ad assicurare che esse abbiano accesso in condizioni di parità all’istruzione e all’occupazione, ai servizi sanitari e alla previdenza sociale, e per assicurare che esse possano partecipare a tutti gli ambiti della vita sociale e culturale[9]».
Qualche anno più tardi, nella Raccomandazione generale n. 24 (1999) – Articolo 12: Donne e salute[10], il Comitato afferma che le donne con disabilità hanno spesso difficoltà ad accedere fisicamente ai servizi sanitari, in particolare quelle con disabilità intellettiva. Di conseguenza, gli Stati Parti dovrebbero adottare misure appropriate per assicurare che i servizi sanitari siano sensibili ai bisogni delle donne con disabilità nel rispetto dei loro diritti e della loro dignità umana.
Nella Raccomandazione generale n. 25 (2004), si afferma che alcuni gruppi di donne possono essere oggetto di molteplici forme di discriminazione per altri motivi, quali la razza, l’identità religiosa o etnica, la disabilità, l’età, la classe, la casta od altri fattori. Gli Stati Parti devono impegnarsi ad adottare specifiche misure speciali temporanee volte ad eliminare le molteplici forme di discriminazione contro le donne e gli effetti negativi che tale discriminazione produce.
Nella Raccomandazione generale n. 28 (2010) sugli obblighi fondamentali degli Stati Parti si fa cenno all’intersezionalità[11] come un concetto fondamentale per comprendere la portata degli obblighi generali degli Stati. La discriminazione delle donne sulla base del sesso e del genere è indissolubilmente legata ad altri fattori che le interessano (razza, etnia, religione o credo, salute, età, classe, casta, orientamento sessuale e identità di genere) e gli Stati Parti devono riconoscere legalmente e vietare tali forme multiple di discriminazione.
3. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità
Approvata dall’ONU nel 2006, e ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009[12], la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità[13] ha delineato un paradigma centrato sul riconoscimento dei diritti umani delle persone con disabilità. La Convenzione, tra le altre cose, attribuisce grandissima rilevanza agli aspetti del genere connessi alla disabilità. I riferimenti espliciti alle questioni di genere sono numerosi e il complesso delle disposizioni indica che la prospettiva del genere è applicata in modo trasversale in tutta la Convenzione. Nella Convenzione la disabilità viene definita come: «il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con altri»[14].
Nel testo è indicato che, nonostante gli strumenti e gli impegni messi in campo nel corso degli anni, le persone con disabilità «continuano a incontrare ostacoli nella loro partecipazione alla società come membri eguali della stessa, e ad essere oggetto di violazione dei diritti umano in ogni parte del mondo»[15].
La Convenzione riconosce, altresì, l’importanza dell’autonomia, dell’indipendenza individuale, la possibilità delle persone con disabilità di compiere le proprie scelte liberamente e il loro diritto di essere coinvolte attivamente nei processi decisionali relativi alle politiche e ai programmi che li riguardano in maniera diretta.
Riconosce, inoltre, che le donne e le minori con disabilità incorrono nel rischio, sia nell’ambiente domestico che all’esterno, di mancanza di cure, abbandono, violenza, lesioni, abusi, maltrattamenti e sfruttamento. A tal proposito, la Convenzione sottolinea la necessità di assumere la prospettiva di genere affinché possa essere assicurato il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali alle persone con disabilità. Afferma l’importanza dell’accessibilità alla salute, all’istruzione, all’informazione, alla comunicazione, alle strutture fisiche, sociali e culturali delle persone con disabilità, nonché la necessità che le stesse, e le loro famiglie, ricevano la giusta tutela e protezione da parte della società e dello Stato.
È interessante prendere in esame alcuni articoli della Convenzione che hanno un evidente carattere di intersezionalità, in quanto tengono in considerazione il piano della disabilità, quello del genere e altri fattori discriminatori:
- L’articolo 6 èinteramente dedicato alle donne con disabilità e riconosce che sia le donne adulte che le minori con disabilità «sono soggette a discriminazioni multiple» e, a questo riguardo, gli Stati devono adottare «misure volte a garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle donne e delle minori con disabilità»;
- L’articolo 8, “Accrescimento della consapevolezza”, in cui emerge la necessità di «combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose concernenti le persone con disabilità, compresi quelli fondati sul sesso e sull’età, in tutti gli ambiti», attraverso la promozione della consapevolezza delle capacità, dell’apporto, dei meriti, delle attitudini delle persone con disabilità, che possono contribuire alla vita collettiva e al mercato del lavoro;
- L’articolo 16, sul diritto di non essere sottoposte/i a sfruttamento, violenza e maltrattamenti; l’articolo tiene conto dell’età, del genere e del tipo di disabilità nell’importante e necessario lavoro di riabilitazione, reintegrazione sociale delle persone con disabilità sopravvissute a violenza e sfruttamento. Stabilisce, inoltre, che gli Stati Parti adottino una legislazione e delle politiche efficaci, di cui anche politiche specifiche per le donne e i minori, per identificare, indagare e perseguire i casi di sfruttamento, violenza e abuso;
- L’articolo 25, dedicato alla salute e al diritto di godere del miglior stato di salute possibile, invita a prendere in considerazione le specifiche differenze di genere, anche per quanto concerne i servizi di riabilitazione;
- L’articolo 28, che verte su livelli di vita e protezione sociale, prevede programmi di protezione sociale, di contrasto alla povertà, sostegno, orientamento, supporto economico e presa in carico, con particolare attenzione alle donne, ai/alle minori e alle persone anziane con disabilità.
4. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul)
La Convenzione di Istanbul[16] è stata approvata dal Consiglio d’Europa nel 2011 e ratificata dall’Italia con la Legge 77/2013[17]; essa definisce la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione nei loro confronti.
La Convenzione di Istanbul riconosce la violenza contro le donne come «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione», ne riconosce la natura strutturale, giacché basata sul genere e come uno dei meccanismi sociali cruciali tramite cui le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini. La Convenzione invita gli Stati ad adottare tutte le misure, legislative e non, necessarie per prevenire la violenza contro le donne. A tal fine si rende necessario inserire nelle costituzioni nazionali e legislative il principio della parità dei sessi; vietare la discriminazione contro le donne; abrogare le leggi e le pratiche che generano discriminazione nei loro confronti. La tutela dei diritti delle donne deve essere garantita:
«senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione»[18].
A tal fine è molto importante il lavoro di prevenzione e sensibilizzazione, finalizzato all’accrescimento della consapevolezza delle persone, nonché la comprensione delle forme di violenza (art. 13). Inoltre, le Parti sono invitate ad adottare tutte le misure necessarie al cambiamento dei comportamenti socioculturali delle donne e degli uomini «al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli» (art.12). Nello stesso articolo, la Convenzione invita a tenere in considerazione i bisogni specifici delle persone «in circostanze di particolare vulnerabilità». Più avanti (art. 46), viene presa in esame la questione delle circostanze aggravanti relative alla pena da attribuire ai reati legati alla violenza di genere, tra cui vi è il reato “commesso contro una persona in circostanze di particolare vulnerabilità”. Sebbene la disabilità sia espressamente citata nella Convenzione solo in due occasioni, le donne con disabilità possono usufruire di un’adeguata tutela prevista rientrando nella categoria delle persone “in situazioni di particolare vulnerabilità”.
5. Trasformare il nostro mondo: L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile
L’Agenda ONU 2030[19] è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU ed avviato nel 2016. Il suo impegno è rivolto al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile nelle tre dimensioni economica, sociale, ambientale in maniera equilibrata e interconnessa. In particolare, l’Agenda si prefigge come obiettivi di porre fine alla povertà e alla fame, combattere le disuguaglianze nelle e tra le nazioni, costruire società pacifiche, giuste ed inclusive; proteggere i diritti umani, promuovere l’uguaglianza di genere, l’emancipazione delle donne e delle ragazze; assicurare la salvaguardia del pianeta e delle sue risorse naturali.
Nell’Agenda il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze viene definita come “una sfida chiave”. Infatti, alcuni obiettivi fondamentali riguardano la salute delle donne, delle madri, delle bambine, dei bambini e la salute riproduttiva. Nel testo, a partire dagli strumenti introdotti dal diritto internazionale viene sottolineata la necessità di rispettare, proteggere, promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali senza nessuna distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, nazionalità, classe sociale, proprietà, nascita, disabilità o altro status.
Il testo si pone come obiettivo quello di colmare il divario tra i sessi e potenziare il supporto alle istituzioni per affermare la parità di genere e l’emancipazione femminile a livello mondiale, regionale e nazionale. Il raggiungimento della parità dei sessi ha un ruolo principale nel programma dell’Agenda, la quale si propone di eliminare ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e delle ragazze. Inoltre, uno dei principali obiettivi dell’Agenda è il raggiungimento di un’educazione di qualità rivolta a tutte le persone a prescindere dal sesso, dall’età, dalla razza o dall’etnia, dalla disabilità e dall’essere migranti, indigene, bambine/i e giovani. Tutte e tutti devono avere accesso all’apprendimento permanente che permetta loro di acquisire strumenti e conoscenze necessarie per partecipare appieno alla vita della società.
6. Commento Generale n. 3 del Comitato ONU sulle donne con disabilità
Il Commento generale n.3[20] elaborato nel 2016 dal Comitato ONU per i diritti delle persone con disabilità pone l’attenzione sulla non discriminazione e l’uguaglianza delle donne con disabilità e contiene disposizioni vincolanti e trasversali alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Il Commento, prendendo le mosse dall’articolo 6 della Convenzione, offre indicazioni per rileggere l’intera Convenzione in una prospettiva di genere. È importante sottolineare che i Commenti Generali adottati dal Comitato sono prodotti attraverso una modalità partecipata che coinvolge nel processo di elaborazione gli enti e le organizzazioni composti da persone con disabilità che desiderano contribuire alla riflessione sui temi presi in esame.
Nella parte iniziale del Commento, il Comitato afferma che vi sono prove evidenti degli ostacoli che le donne e le ragazze con disabilità devono affrontare nella maggior parte degli ambiti della loro vita. Tali ostacoli provocano “discriminazioni multiple e intersezionali”, soprattutto per quanto concerne l’accesso all’istruzione, all’inclusione sociale, alla giustizia, alle opportunità economiche, al riconoscimento davanti alla legge, la partecipazione alla vita politica.
Le donne con disabilità, come viene messo in luce nella parte generale, sono state ignorate sia dalle leggi che dalle politiche nazionali e internazionali sulla disabilità che dalle politiche rivolte alle donne; ciò ha fatto sì che venissero invisibilizzate, continuando a subire discriminazioni multiple e intersezionali (punto 3). Il Commento pone poi l’attenzione sul fatto che le donne con disabilità non debbano essere considerate un gruppo omogeneo e sottolinea come ognuna di loro incarni altre caratteristiche, alcune delle quali possono diventare oggetto di ulteriori discriminazioni (punto 5):
«Possiamo avere donne indigene, rifugiate, migranti, richiedenti asilo o semplicemente sfollate, donne in stato di detenzione (perché ricoverate in ospedali o in strutture residenziali, oppure recluse in istituti penitenziari, in penitenziari minorili, in prigioni), donne che vivono in condizioni di povertà, donne di diversa etnia, religione e razza, donne con disabilità multiple che necessitano di alti livelli di supporto, donne con albinismo, donne lesbiche, bisessuali e transgender, nonché persone intersessuali»[21].
L’articolo 6 della Convenzione ONU rafforza il carattere non discriminatorio del trattato, chiedendo agli Stati Parti di adottare misure mirate all’emancipazione, allo sviluppo e all’avanzamento delle ragazze e delle donne con disabilità, promuovendo pratiche per rafforzarle e fornendo canali che consentano loro di esprimersi in prima persona ed esercitare le loro scelte, per aumentare la fiducia in sé stesse e nel loro potere personale. Il Comitato ha espresso preoccupazione per le condizioni di discriminazioni multiple e intersezionali vissute dalle donne e dalle ragazze con disabilità. In particolare, per l’accesso al diritto alla vita; per il pari riconoscimento davanti alla legge; per la violenza che le donne e le ragazze con disabilità subiscono; per la sterilizzazione forzata e le mutilazioni genitali femminili; per lo sfruttamento sessuale ed economico; per l’istituzionalizzazione delle scelte che le riguardano in quanto considerate meno capaci; per l’assente o insufficiente partecipazione delle donne con disabilità ai processi decisionali nella vita pubblica o politica; per la mancanza di una prospettiva di genere nelle politiche sulla disabilità e di una prospettiva dei diritti delle persone con disabilità nelle politiche volte alla promozione della parità di genere; per le insufficienti misure dedicate alla promozione dell’istruzione e dell’occupazione delle donne con disabilità (punto 10).
Il Commento, inoltre, analizza il rapporto tra l’articolo 6 e gli altri articoli della Convenzione, facendo costantemente riferimento alla questione della violenza di genere. Sul punto fornisce indicazioni importanti per l’implementazione delle azioni da attivare nei contesti nazionali, individua e definisce le tante forme di discriminazione che possono colpire le donne con disabilità.
Per citare direttamente un passaggio: «fornisce, nel suo complesso, un esempio di cosa voglia dire applicare concretamente la prospettiva di genere connessa non solo alla disabilità, ma ai molteplici fattori che, combinandosi, fanno crescere in modo esponenziale il rischio di discriminazione e di violazione dei diritti umani»[22]. Infine, è possibile affermare che tutti i contenuti del Commento Generale n. 3 abbiano alla base l’idea che la Convenzione può essere interpretata e applicata correttamente soltanto tenendo in considerazione il genere, affinché le discriminazioni siano comprese e, conseguentemente, contrastate con strumenti adeguati.
7. Il 2° Manifesto sui Diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea
Il 2° Manifesto sui Diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea[23] è stato adottato nel 2011 dal Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) a seguito della proposta del Comitato delle Donne del Forum. Non si tratta di un testo vincolante dal punto di vista giuridico, ma ha comunque un grande valore etico e politico, giacché si tratta di un documento elaborato direttamente dalle donne con disabilità. Il testo costituisce «uno straordinario lavoro di riflessione, elaborazione e proposta per contrastare la discriminazione multiplache può interessare le donne e le ragazze con disabilità per il semplice fatto di essere sia donne che disabili»[24]. Il Manifesto prende in esame tutti gli articoli della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità proponendosi di raggiungere cinque obiettivi: delineare la situazione attuale nella quale vivono le donne e le ragazze con disabilità, raccogliere le loro istanze, suggerire pratiche di miglioramento nelle singole comunità, proporre studi e ricerche per ottenere una chiara comprensione della situazione in cui si trovano donne e ragazze con disabilità e, infine, presentare un’analisi con gli elementi “chiave” della legislazione in materia di disabilità in Europa.
Il 2° Manifesto segue il primo Manifesto delle Donne con Disabilità, adottato dal Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) nel 1997, il quale è riuscito a porre l’attenzione sulla condizione delle donne con disabilità, sulle molteplici forme di discriminazione che vivono nella loro vita ed ha contribuito ad istituire un Comitato permanente di donne all’interno del Forum. Il 2° Manifesto è scaturito dall’esigenza di revisione del primo testo a seguito dell’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006). In realtà, il motivo che ha portato alla seconda stesura è la realizzazione di uno strumento volto a supportare il processo di inclusione della variabile del genere nelle politiche sulla disabilità e, a sua volta, del tema della disabilità nelle politiche di genere. Infatti, nell’introduzione al 2° Manifesto, la Presidente del Forum Ana Peláez Narváez ha affermato:
«La condizione delle donne con disabilità non è solo peggiore di quella delle donne senza disabilità, ma anche di quella dei maschi con disabilità; questo è particolarmente vero nelle aree rurali dove sono ancora predominanti il sistema matriarcale ed il sistema economico primario, con meno servizi e opportunità per questa popolazione rispetto a chi vive in ambienti urbani. Una delle ragioni di questa situazione è il fatto che le politiche pubbliche e non hanno tenuto conto di questa palese discriminazione e non hanno incluso indicatori che mettessero in luce, e in connessione, le prospettive del genere e della disabilità come correlate»[25].
Quello che emerge dal documento è che le esigenze delle donne con disabilità siano rimaste a lungo invisibili e queste siano colpite da una “persistente disuguaglianza strutturale”, che può essere definita “discriminazione multipla”. Come ha affermato la presidente del Forum: occorre andare oltre le sole disposizioni normative, ma è necessario realizzare pari opportunità e l’uguaglianza tra i sessi attraverso azioni politiche di giustizia sociale. Per raggiungere questi obbiettivi, è necessario dotarsi altresì di sistemi di raccolta dati, statistiche ed indicatori sensibili al genere, nonché adottare programmi specifici basati sulle caratteristiche di ciascun sesso e svolgere un’adeguata formazione sulle questioni di genere alle persone incaricate di raccogliere questi dati.
Il 2° Manifesto propone una profonda rilettura in chiave di genere della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e, in questa sede, si analizzerà il punto 16, “Intersezionalità, genere e disabilità” il quale opera una rilettura e un approfondimento dell’articolo 6 della Convenzione. Il Manifesto invita ad analizzare come l’esistenza dei diversi tipi di discriminazione interagisce a molteplici e – spesso – simultanei livelli, diventando uno delle cause della diseguaglianza sociale. È indicato, infatti, che nelle ragazze e nelle donne con disabilità:
«l’intersezione di tali fattori ha un effetto moltiplicatore che aumenta la discriminazione che discriminazione che sperimentano. Questa discriminazione nasce dal modo in cui le persone costruiscono la loro identità, non riuscendo a riconoscere la diversità che esiste fra le donne con disabilità, e tendendo ad omogeneizzare le donne con disabilità in tutti gli ambiti sociali, guardando alla loro realtà da una prospettiva esclusiva. È essenziale promuovere l’uso di un linguaggio comune, chiaro e preciso che consenta di riconoscere l’intersezionalità nella discriminazione contro le donne e le ragazze con disabilità[26]».
Il Manifesto pone come obiettivo che le donne e le ragazze con disabilità diventino sempre più consapevoli delle discriminazioni multiple che vivono nelle loro vite. Le stesse dovrebbero avere a disposizione strumenti, risorse e servizi di assistenza che sappiano comprendere quali sono le cause che hanno portato a suddetta discriminazione e che possano consentir loro di usufruire dei diritti fondamentali. Questa sensibilizzazione deve essere intrapresa in giovane età, per prevenire la trascuratezza, l’abbandono, la segregazione e lasciando spazio alla libera espressione su tutte le questioni che le riguardano in prima persona, con l’obiettivo ulteriore di insegnargli a valorizzare le loro posizioni e idee. Il Manifesto mette in luce anche l’importanza di avere una formazione specifica per chi svolge qualsiasi ruolo di guida e supporto; questo tipo di figure dovrebbero essere promosse specialmente per le donne e le ragazze con disabilità, che incorrono in un rischio maggiore di esclusione a causa della presenza di altri fattori discriminanti (come la povertà, essere migrante o appartenere a minoranze etniche o religiose). Inoltre, il testo considera fondamentale il contrasto agli stereotipi che le riguardano e la promozione di campagne mediatiche rivolte alla decostruzione delle rappresentazioni sociali inadeguate. Questi stessi obiettivi dovrebbero essere acquisiti anche nelle scuole, attraverso misure attive contro le discriminazioni e la valorizzazione delle diversità e dei contributi che tutte e tutti apportano alla società. Nelle politiche pubbliche, inoltre, dovrebbe essere adottato un approccio che accolga i fattori del genere e della disabilità; a tal fine le politiche rivolte alle donne e quelle rivolte alle persone con disabilità dovrebbero convergere ed essere più inclusive e attente alle diversità. È altresì, fondamentale che vengano svolti studi sulle ragazze e sulle donne con disabilità che hanno vissuto discriminazioni multiple, tenendo conto dell’età, dell’orientamento sessuale, della provenienza, dell’eventuale status di migrante, della violenza di genere o alla condizione di povertà. Sarebbe necessario svolgere ulteriori studi sull’intersezionalità, rendere visibili le diverse forme di discriminazione multipla, raccogliere dati attraverso un processo che tenga conto dei fattori che possono diventare oggetto di ulteriore discriminazione e della loro crescita esponenziale quando si intrecciano. Al contempo, compito dell’Unione Europea e delle legislazioni nazionali dovrebbe essere quello di porre luce sulle situazioni di discriminazioni multiple, proporre soluzioni e protezioni efficaci ed eque.
8. Il 3° Manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea. Empowerment e Leadership
In questo Manifesto[27], in modo sempre più preciso, e attraverso il riferimento al Comitato delle Nazioni Uniti sui Diritti delle Persone con Disabilità[28] si sottolinea il fatto che queste persone non costituiscono un gruppo omogeneo. Inoltre, è indicato che si deve tenere conto delle diversità tra le donne con disabilità e far sì che diventino artefici del cambiamento in quanto devono essere in grado di difendere i propri diritti e dare il loro contributo alla società. Questo Manifesto intende porre l’attenzione sulle capacità di leadership delle donne e delle ragazze con disabilità, le quali dovrebbero essere in grado di condurre la propria vita in modo indipendente, e mira a garantire la loro partecipazione attiva per la costruzione di un futuro più inclusivo, anche attraverso l’esercizio del diritto di voto e quello alla rappresentanza politica. Il documento è stato scritto direttamente dalle donne con disabilità che hanno voluto far emergere gli impatti negativi delle varie crisi intercorse negli ultimi anni sulle loro vite: la pandemia da Covid 19, i conflitti armati, il cambiamento climatico, la crisi economica globale. Queste conseguenze negative sono state aggravate dalla mancanza di misure effettive messe in campo dagli Stati per eliminare le discriminazioni da loro subite. Il documento indica che per la piena attuazione della parità dei diritti è necessario che siano le stesse donne e ragazze con disabilità ad assumere un ruolo guida nel contrasto alle ingiustizie e alle disuguaglianze.
Inoltre, le ragazze e le donne con disabilità sono ancora più esposte al rischio di violenza; nei loro confronti si riscontrano specifici tipi di violenza a causa della loro condizione di marginalità e in alcuni casi la violenza di genere è causa della disabilità. Inoltre, la violenza “spesso è più grave nella forma, ripetitiva nell’azione e più lunga nel tempo. Crea un impatto duraturo e frequentemente irreversibile”. Le donne e le ragazze con disabilità sono oggetto di varie forme di violenza sia psicologica (bullismo, molestie, gaslighting, isolamento, trascuratezza, controllo ingiustificato e aggressione verbale) che fisica e sessuale. Le ragazze e le donne con disabilità intellettiva e psicosociale sono quelle maggiormente soggette alle pratiche di sterilizzazione forzata e, più in generale, al controllo medico agito con coercizione; tali trattamenti terapeutici forzati vengono ancora eseguiti soprattutto nei confronti delle donne che vivono negli istituti residenziali e psichiatrici. Inoltre, i loro diritti sessuali e riproduttivi in alcuni casi vengono controllati senza il loro consenso attraverso l’uso di metodi contraccettivi indesiderati.
9. Il ‘Rapporto Ombra’ sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità in Italia
Il ‘Rapporto Ombra’ sull’applicazione della Convenzione di Istanbul relativo alla violenza di genere[29] è stato redatto dal Forum Italiano sulla Disabilità. Il Rapporto prende in considerazione la situazione delle donne e delle ragazze con disabilità che hanno subito violenza in Italia. Il documento è stato trasmesso al GREVIO, ossia l’organo indipendente preposto al monitoraggio della Convenzione di Istanbul a cui l’Italia è vincolata a mandare rapporti periodici sull’attuazione della convenzione. Alla stesura del rapporto partecipano anche diverse associazioni della società civile.
Il Forum italiano sulla disabilità (FID) da qualche anno produce dei Rapporti Ombra sulle violenze nei confronti delle donne con disabilità: il primo è stato prodotto nel 2018, il secondo nel 2023. Sebbene le questioni sollevate nel Rapporto Ombra del 2018 in tema di contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità siano state riproposte nel 2023, e molte delle Raccomandazioni rivolte all’Italia dal GREVIO su questa materia siano rimaste disattese, ci sono dei cenni positivi di cambiamento. Nel 2023 l’OSCAD (l’Osservatorio per la sicurezza Contro gli Atti Discriminatori della Direzione centrale della polizia criminale che fa capo al Ministero dell’interno) ha pubblicato una brochure divulgativa “La violenza contro le donne con disabilità[30]”. I dati OSCAD registrati nel biennio 2020-2022 rappresentano solo la punta dell’iceberg di un fenomeno complesso e sommerso e che per la maggior parte delle volte accade in contesti di cura e assistenza o in ambienti familiari della donna.
L’attuazione del Piano Strategico Nazionale sulla Violenza Maschile contro le donne 2021-2023[31] è affidata alle Regioni, che disciplinano la materia in modo disomogeneo e che solo in pochi casi menzionano la discriminazione intersezionale e multidimensionale che colpisce le donne con disabilità; ciò genera disuguaglianze nelle ragazze e nelle donne anche su base territoriale. Nel Piano non sono stati presi impegni specifici chiari né sono fornite indicazioni operative in merito ad azioni di sensibilizzazione rivolte a gruppi svantaggiati, come le donne con disabilità che intendono intraprendere percorsi di fuoriuscita da situazioni di violenza di genere. Inoltre, per quanto riguarda le strutture di supporto e assistenza, il FID sottolinea la loro inaccessibilità per le donne e ragazze con disabilità. Le campagne di sensibilizzazione e prevenzione non si rivolgono a ragazze e donne con disabilità, in particolare a quelle con disabilità intellettive e/o psicosociali, né sono fornite con linguaggi e supporti adeguati alle diverse esigenze comunicative. Un’altra criticità evidenziata nel Rapporto del FID è che il Piano Strategico Nazionale 2021-2023 sulla violenza di genere, in merito alla raccolta e analisi dei dati statistici sul fenomeno della violenza di genere, non prevede la raccolta dei dati sulla disabilità delle persone che hanno subito violenza. Inoltre, per quanto riguarda i centri antiviolenza e le case rifugio, non vi sono dati sull’accessibilità dei servizi, spesso inadeguati e, dunque, verosimilmente preclusi alle donne e ragazze con disabilità. Sussiste, inoltre, un problema di coinvolgimento e di partecipazione delle associazioni che rappresentano le donne con disabilità, infatti nei due Osservatori del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) sulla Violenza di genere e sulla Parità di Genere, sono presenti le rappresentanti dei centri antiviolenza e quelle delle associazioni femminili, ma non quelle delle associazioni di persone con disabilità. Le associazioni di persone con disabilità a livello nazionale e internazionale sottolineano la mancanza di considerazione delle donne con disabilità che fuoriescono da vissuti di violenza, sollecitando l’attuazione della Convenzione di Istanbul e della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Il FID segnala, inoltre, la mancanza di attenzione dei media al fenomeno della violenza su ragazze e donne con disabilità e il fatto che l’autorità nazionale per le comunicazioni (AGCOM) non preveda nelle sue azioni di regolamentazione, analisi e monitoraggio alcun riferimento specifico alle ragazze e alle donne con disabilità.
Nel Rapporto del FID c’è anche un riferimento alla giustizia e ai processi in cui le donne sono coinvolte, in quanto luogo nel quale le donne con disabilità incontrano difficoltà ad essere credute e si trovano spesso esposte a vittimizzazione secondaria da parte degli operatori giudiziari. Nei casi di donne con disabilità che hanno denunciato violenze di genere si riscontrano ulteriori discriminazioni nel corso del procedimento per l’affidamento dei/delle figli/e. Le donne con disabilità sono spesso sottoposte ad una valutazione negativa delle loro capacità genitoriali, mancando una corretta comprensione della specificità della condizione di disabilità, e a causa dell’applicazione di parametri costruiti sulle donne senza disabilità in modo indifferenziato, con conseguenti esiti negativi. Le donne con disabilità che si rivolgono ai centri antiviolenza hanno spesso difficoltà cognitive e intellettive o problemi di salute mentale, ma non sono tenute nella giusta considerazione dalle istituzioni, che dovrebbe supportarle nell’esercizio del loro ruolo di madri.
10. Le osservazioni rivolte all’Italia dal Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione contro le donne
Nel mese di febbraio del 2024 si è svolta a Ginevra l’87ª sessione del Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione contro le donne[32]. In quell’occasione il Comitato ha reso pubbliche le proprie conclusioni sulla situazione degli otto Stati esaminati nell’ultima sessione, tra cui vi era l’Italia. Pur avendo accolto con favore le misure adottate, nel nostro paese, per eliminare gli stereotipi di genere nei programmi televisivi di informazione e intrattenimento, il Comitato si è detto preoccupato per la «la persistenza del sessismo e degli stereotipi di genere a livello sociale e istituzionale […] e turbato dai discorsi di odio contro le donne e le ragazze LBGTI [lesbiche, bisessuali, Gay, Transgender, Intersessuali] e le donne con disabilità». L’organismo ha invitato l’Italia ad accelerare l’adozione di una strategia globale per eliminare gli stereotipi sui ruoli di genere e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia e nella società, e a garantire le sanzioni imposte dall’Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) nel caso di utilizzo di un linguaggio discriminatorio nei confronti delle donne e di discorsi di odio. Ha sottolineato, inoltre che, nonostante la nomina della prima Presidente del Consiglio dei Ministri donna e gli sforzi dell’Italia per aumentare la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle società pubbliche, si evince che la rappresentanza femminile sia al Senato che alla Camera dei deputati sia diminuita dopo le elezioni del 2022 e che le donne continuino ad essere “significativamente sottorappresentate” in ruoli istituzionali come quello di presidenti di commissione parlamentare o ai vertici dei ministeri. Il Comitato ha raccomandato all’Italia di «definire una strategia per garantire la parità di genere in tutti i settori della vita pubblica e politica e di fornire alle donne una formazione sulla capacità di leadership, sulle campagne elettorali e sulla costruzione dei collegi elettorali per prepararle a candidarsi a tutti i livelli di governo»[33].
11. Le donne con disabilità nel ‘Rapporto Ombra’ sulla violenza di genere delle Organizzazioni femminili
Nel secondo ‘Rapporto Ombra’ del 2023 redatto dalle Organizzazioni femminili italiane per il GREVIO vi sono molteplici riferimenti specifici alle donne con disabilità; da ciò si evince che una parte importante dei soggetti della società civile impegnati nel contrasto alla violenza contro le donne hanno iniziato a muoversi in una prospettiva inclusiva. È importante, per evitare che le istanze delle donne con disabilità si concretizzino in percorsi separati e poco inclusivi, che tali istanze siano integrate sia nelle politiche per le parti opportunità di genere che in quelle che riguardano le persone con disabilità.
Il Rapporto Ombra delle Organizzazioni femminili, a cui hanno partecipato molte associazioni femminili, con il coordinamento dell’associazione “D.i.Re – Donne in rete contro la violenza” recepisce anche gli elementi più significativi dell’ultimo Rapporto Ombra elaborato dal Forum Italiano sulla Disabilità (FID[34]). Infatti, tra coloro che hanno contribuito al Rapporto Ombra delle Organizzazioni femminili ci sono anche diverse esponenti della FID, che hanno riproposto in quella sede le problematiche vissute dalle donne con disabilità. La situazione descritta nel Rapporto delle Organizzazioni femminili è alquanto negativa, da esso si evince che, nonostante un ampio quadro giuridico, il sistema italiano ostacola l’accesso alla giustizia alle donne sopravvissute alla violenza di genere e alla violenza domestica. Le regole e le azioni messe in atto non riescono ad affrontare il sessismo profondamente radicato che colpisce la situazione delle donne in generale e di coloro che sono esposte alla violenza di genere. La prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne, infatti, sono escluse sia dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026[35] sia dal Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR). Inoltre, il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, nonostante includa alcuni riferimenti relativi alla condizione delle donne con disabilità, che non erano mai stati precedentemente presi in considerazione, ha delle evidenti lacune: la capacità di identificazione dei gruppi più vulnerabili; azioni per far emergere e contrastare la violenza contro le donne che hanno subito discriminazioni multiple; campagne di sensibilizzazionerivolte a categorie fragili, come le donne anziane e le donne con disabilità, o donne sopravvissute alla violenza di genere. Nel Piano mancano, inoltre, misure concrete per il coordinamento tra il servizio pubblico di assistenza alle donne offese da violenza (1522), i centri antiviolenza, le case rifugio, le forze dell’ordine, le reti del territorio e il sistema giudiziario. Nondimeno, mancano riferimenti alle donne con disabilità nell’”Asse Perseguire e punire”[36] nel piano strategico nazionale contro la violenza maschile contro le donne 2021-2023, il quale comprende l’intero settore della giustizia, in cui le donne con disabilità sono ancora discriminate ed esposte a vittimizzazione secondaria.
Nel Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023, nell’Asse “Assistenza e Promozione” è stata stabilita la necessità di controllare l’attuazione del piano considerando la trasversalità di alcune problematiche che le donne incontrano, quali l’essere disabili o migranti, ma non sono previste vere azioni di contrasto alle discriminazioni nei loro confronti. Inoltre, non è stata coinvolta nel Comitato tecnico-scientifico che ha redatto il Piano nessuna organizzazione non governativa che rappresenta le donne o le persone con disabilità, in contrasto con il Commento Generale n. 7[37] sulla partecipazione delle persone con disabilità del Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità. Per quanto concerne le risorse finanziarie, infine, non sono previsti fondi specifici per il coordinamento tra le associazioni o per azioni a favore delle donne e delle ragazze con disabilità.
I centri di raccolta dati sul fenomeno della violenza di genere delle istituzioni italiane non hanno ancora previsto una raccolta sistematica sulle donne disabili in importanti ed essenziali servizi pubblici come quello sanitario, legale e sociale; mancano, dunque, dati generali sulla violenza contro le donne e le ragazze con disabilità e le poche indagini specifiche sono state condotte solo da organizzazioni femminili e di donne con disabilità. La carenza di dati, statistiche e ricerche sulle donne con disabilità non fa emergere la discriminazione intersezionale che queste subiscono nella loro vita; da ciò ne consegue che non siano adottate politiche efficaci né misure legislative di protezione contro violenze e abusi nei loro confronti.
Nel Rapporto Ombra sono suggerite le seguenti azioni:
- raccogliere dati sul fenomeno della violenza di genere nei confronti delle donne e delle ragazze con disabilità (intellettive o psicosociali), su coloro che vivono in istituti e sugli interventi di sterilizzazione forzata a cui sono sottoposte;
- raccogliere dati sull’accessibilità dei centri antiviolenza e delle case rifugio, per abbattere le barriere esistenti per le donne e le ragazze con disabilità nell’accesso ai servizi;
- sviluppare indagini sistematiche e studi sulle discriminazioni intersezionali che colpiscono le donne e le ragazze con disabilità, sulla loro partecipazione alla vita sociale e sul loro accesso alle pari opportunità in tutti gli ambiti della vita;
- promuovere una nuova indagine demografica aggiornata che raccolga dati tenendo conto del genere e la disabilità, al fine di descrivere il fenomeno della violenza contro le donne con disabilità e attuare politiche e programmi mirati a questo scopo.
Conclusioni. Alcune proposte per contrastare le Multidiscriminazioni delle donne e delle ragazze con disabilità
Ad oggi non sono ancora riconosciute le discriminazioni e le violenze che vivono le donne con disabilità e per questa ragione sarebbe importante introdurre dei progetti di formazione e sensibilizzazione presso gli istituti scolastici, gli enti che si occupano della salute fisica e psicologica, le associazioni che si prendono cura delle persone con disabilità, e a coloro che dedicano il loro lavoro al contrasto alla violenza di genere.
È importante che si sviluppi una maggiore consapevolezza delle diverse forme di discriminazione che subiscono le donne con disabilità. Come sarebbe importante valorizzarne l’autonomia, potenziare le capacità e l’autostima delle donne con disabilità, nonché tutelare la loro autodeterminazione nei vari ambiti della vita.
In particolare, sarebbe importante:
- creare l’opportunità di intraprendere un percorso di vita indipendente;
- migliorare l’orientamento all’istruzione, all’attività lavorativa e alla partecipazione politica;
- svolgere un’adeguata educazione all’affettività, alla sessualità e alla vita riproduttiva;
- lavorare sul riconoscimento delle violenze e l’orientamento ai servizi rivolti alle donne che desiderano fuoriuscire da situazioni di violenza;
- decostruire i pregiudizi e gli stereotipi in cui si imbattono le ragazze e le donne con disabilità.
Sarebbe importante che vi fossero più incontri tra le associazioni che si occupano di disabilità e le associazioni femministe, le quali possono offrire la loro lunga esperienza rispetto alle questioni di genere acquisendo, a loro volta, competenze sul tema della disabilità. Sarebbe necessario incentivare la creazione di reti tra associazionismo, enti statali e famiglie in cui vivono figlie, figli e genitori con disabilità.
Le famiglie, infatti, si trovano ad affrontare da sole le gravi problematiche della disabilità e sarebbe, quindi, importante che i genitori trovassero sempre, nella rete dei servizi sociosanitari coinvolti, come pure nelle associazioni delle persone con disabilità, figure di sostegno, orientamento e accompagnamento, così da alleggerire il loro impegno genitoriale e ad arricchirlo con le competenze di figure educative specializzate.
Bisognerebbe, inoltre, ampliare la conoscenza delle varie forme di disabilità nei consultori, nei centri antiviolenza e nei presidi che si occupano della salute sessuale e riproduttiva delle donne, rendendo questi luoghi accessibili e capaci di interagire con le donne e le ragazze con disabilità attraverso la formazione delle operatrici e degli operatori del settore. Sarebbe importante, altresì, che le donne potessero scegliere da chi essere curate e in quale luogo, considerando la difficoltà che alcune di loro possono avere a compiere ampi spostamenti. Le donne e le ragazze con disabilità dovrebbero avere la possibilità di accedere a tutti i gradi di istruzione e formazione professionale anche al fine di intraprendere un’attività lavorativa e un progetto di vita indipendente. Nel mondo dell’occupazione dovrebbero poi poter essere sottoposte alle stesse condizioni di selezione, reclutamento e opportunità di carriera. Inoltre, i luoghi deputati ad ospitarle dovrebbero essere pienamente accessibili a tutte le forme di disabilità. Infine, tutti i mezzi di comunicazione dovrebbero offrire informazioni accessibili; i media dovrebbero offrire immagini non stereotipate delle donne con disabilità ma dovrebbero, bensì, rappresentarle come soggetti attivi e partecipi della vita sociale e politica, lasciando loro la possibilità di parlare di sé in prima persona. Tutte queste azioni hanno come intento quello di incoraggiare la formazione di un’immagine e di una percezione di sé come soggettività degne di essere viste, ascoltate e rappresentate.
*La disabilità nell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute elaborata nel 2001 dall’OMS) viene definita come una difficoltà nel funzionamento a livello fisico, personale o sociale, in uno o più domini principali di vita, che una persona in una certa condizione di salute trova nell’interazione con i fattori contestuali. In questo modo la disabilità, a differenza del passato in cui veniva definita come malattia, menomazione e handicap e dunque in termini negativi, viene oggi intesa come una “condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. Ciononostante, permangono pregiudizi e stereotipi che influenzano negativamente la vita delle persone con disabilità, nonché molte barriere che ostacolano l’affermazione dei loro diritti, della loro libertà e autodeterminazione.
RIFERIMENTI NORMATIVI
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Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Protocollo alla Convenzione contro tutte le forme di discriminazione contro le donne, 15 ottobre 1989.
CEDAW, Raccomandazione generale n. 18, Donne con disabilità, 1991.
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Organizzazione delle Nazioni Unite, Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, 2006.
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Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne, Osservazioni conclusive, luglio 2011.
Legge 27 giugno 2013, n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul l’11 maggio 2011.
Assemblea Generale ONU, Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, 2015.
Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD), Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia, 31 agosto 2016.
Committee on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD),
General comment No. 3 on women and girls with disabilities, Convention on the Rights of Persons with Disabilities, United Nations, 25 November 2016.
CRPD, Commento Generale n. 7 sulla partecipazione delle persone con disabilità, inclusi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, nella implementazione e nel monitoraggio della Convenzione, 27 agosto – 21 settembre 2018.
Mozioni Noja, Penna, Carnevali, Muroni ed altri n. 1-00243, Lollobrigida ed altri n. 1-00262, Versace ed altri n. 1-00263 e Locatelli ed altri n. 1.00264 concernenti iniziative nei confronti delle Donne con Disabilità, 15 ottobre 2019.
European Commission, Union of Equality Strategy for the Rights of Persons with Disabilities 2021-2030, Brussels, 3 March 2021.
Ministero per le pari opportunità, Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023.
Ministero per le pari opportunità, Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026.
EDF Women’s Committee, Work Plan 2023-2026.
Decreto Ministeriale 22 dicembre 2022, n. 328, Adozione delle Linee guida per l’orientamento, relative alla riforma 1.4 “Riforma del sistema di orientamento”, nell’ambito della Missione 4 – Componente 1 – del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne, Osservazioni conclusive, febbraio 2024.
Direttiva UE 2024 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, 16 aprile 2024.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI
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(https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2023/country)
Sito internet “Informare un’H” a cura del Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Pisa. (https://informareunh.it/documentazione/donne-con-disabilita/
[1]World Economic Forum, Global Gender Gap Report 2020, Ginevra, 2019.
[2]Redazione ANSA, Italia ultima in Europa per l’occupazione femminile, una su cinque esce dopo il parto, 2 gennaio 2024.
[3] Simona Lancioni, Introduzione al tema della multidiscriminazione delle donne con disabilità in Fish Onlus, La multidiscriminazione delle donne con disabilità. Kit informativo rivolto a donne con disabilità, famiglie, associazioni, operatrici e operatori di settore, 2018.
[4]Ibidem.
[5]Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women – (CEDAW) – 1979. È disponibile una traduzione in lingua italiana anche se non ufficiale, Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e altri documenti.
[6] Legge 14 marzo 1985, n. 132, Ratifica ed esecuzione della convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979.
[7]Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women – CEDAW) e altri documenti, Parte prima, articolo 1, pagina 6
(https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/CEDAW.pdf)
[8]Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e altri documenti (CEDAW).
[9]Ivi.
[10]Ivi.
[11]Con il termine “intersezionalità” si intende la sovrapposizione, o intersezione, di diverse identità sociali e di quelle che possono essere le discriminazioni, oppressioni che possono essere ad esse correlate. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1989 da Kimberlé Crenshaw, un’attivista e giurista di origine statunitense con l’obiettivo di mettere in luce come diverse categorie biologiche, sociali e culturali come il genere, l’età, l’etnia, la nazionalità, la classe sociale, la disabilità, l’orientamento sessuale, il credo religioso interagiscono e si intersecano a molti livelli. Crenshaw, partendo dalla sua esperienza di “black feminism”, ovvero della popolazione nera all’interno dei movimenti femministi e a antirazzisti, agendo dunque una critica doppio binario, ha messo in luce molteplicità e simultaneità dei sistemi di oppressione che coinvolgeva le donne afroamericane dell’epoca.
[12]Legge 3 marzo 2009, n. 18, Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.
[13]Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), 2006.
[14]Ibidem, Preambolo, pagina 5.
[15] Ibidem, pagina 6.
[16]Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul 11 maggio 2011.
[17]Legge 27 giugno 2013, n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011.
[18]Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
[19]Assemblea Generale ONU, Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, 2015.
[20]ONU, General comment No. 3 on women and girls with disabilities, 2016.
[21]Ibidem.
[22] ONU, General comment No. 3 on women and girls with disabilities, 2016.
[23]Assemblea Generale del Forum Europeo sulla disabilità (EDF), Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea. Uno strumento per attivisti e politici, Budapest 2011 (https://www.informareunh.it/wpcontent/uploads/3215/2ManifestoDonneDisabiliUE-ITA.pdf ).
[24]Simona Lancioni, Prefazione all’edizione italiana del Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze
con Disabilità nell’Unione Europea. Uno strumento per attivisti e politici, Budapest 28-29 maggio 2011.
[25]Secondo Manifesto sui diritti delle Donne e delle Ragazze con Disabilità nell’Unione Europea. Uno strumento per attivisti e politici.
[26]Ibidem.
[27]Terzo Manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell’Unione Europea 2023. Empowerment e Leadership (https://www.edf-feph.org/).
[28]Comitato CRPD, Commento generale n. 3 su donne e ragazze con disabilità, paragrafo 5.
[29]Forum italiano sulla disabilità, Rapporto ombra -l meccanismo di monitoraggio della Convenzione di Istanbul,
6 aprile 2023 (https://informareunh.it/wp-content/uploads/FID-rapporto-ombra-per-GREVIO-2023-ITA.pdf).
[30]Ministero dell’interno, Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori, La violenza contro le donne con disabilità, 2023, https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2022-12/la_violenza_contro_le_donne_con_disabilita.pdf.
[31]Ministero per le pari opportunità, Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023.
[32]Il Comitato Onu è l’organismo indipendente che monitora l’attuazione della Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW), promulgata nel 1979 e ratificata dall’Italia con la Legge 132/1985.
[33]Il giornale italiano delle Organizzazioni Unite, Donne: Comitato Onu contro discriminazioni, in Italia persistono sessismo e stereotipi di genere, 20 febbraio 2024 (https://onuitalia.com/2024/02/20/donne-15/)
[34]Forum italiano della disabilità, Rapporto Ombra al meccanismo di monitoraggio della Convenzione di Istanbul, 6 aprile 2023.
[35] Dipartimento per le pari opportunità. Presidenza del Consiglio dei ministri, Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026.
[36]Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023 in continuità con il Piano precedente 2017-2020, è articolato in 4 Assi, (Prevenzione, Protezione e sostegno, Perseguire e punire, assistenza e Promozione) secondo quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul, a ciascuna delle quali si ricollegano specifici obiettivi e priorità. Per approfondire si può consultare il sito del Dipartimento delle pari opportunità: (https://www.pariopportunita.gov.it/it/politiche-e-attivita/violenza-di-genere/piano-strategico-nazionale-sulla-violenza-maschile-contro-le-donne-2021-2023/).
[37]Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, Commento Generale n. 7 sulla partecipazione delle persone con disabilità, inclusi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, nella implementazione e nel monitoraggio della Convenzione, 2018.
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