Rassegna sul Reato di Molestia o disturbo alle persone, art. 660 c.p. Aggiornamento a maggio 2024.
La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione sul reato di “Molestia o disturbo alle persone” (art. 660 c.p.). Le pronunce citate sono state selezionate tra le 44 sentenze depositate sul tema tra gennaio e maggio 2024, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.
- Art. 660 c.p. e Ingiuria (art. 594 c.p.)
“Integra il reato di molestie o disturbo alle persone di cui all’art. 660 c.p. la condotta consistente nel rivolgere alla persona offesa battute a sfondo sessuale ed insistenti domande attinenti alla sua sfera intima. Il reato non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri”.
Con la sentenza Cass. pen., Sez. I, dep. 08.05.2024, n. 18142, la Corte viene chiamata a giudicare su un caso di molestia o disturbo alle persone, ex art. 660 c.p. Il Tribunale aveva assolto l’imputato dal reato previsto dall’art. 660 cod. pen., previa riqualificazione dell’ipotesi criminosa nel reato di ingiuria (art. 594 c.p., abrogato con la D.Lgs. 7/2016), perché il fatto non costituisce reato. Gli accadimenti criminosi riguardavano le condotte poste in essere in danno della persona offesa, alla quale l’imputato si rivolgeva con modalità arroganti e con gesti a sfondo sessuale. Nel corso del diverbio l’imputato dapprima, apostrofava la persona offesa, rivolgendole la frase “da oggi parlerai solo col mio pene” e, successivamente, la derideva, portandosi le mani nell’area inguinale in direzione del suo organo sessuale, abbassandosi i pantaloni e mostrando all’interlocutrice le natiche scoperte. In questa cornice, il Tribunale evidenziava che tali comportamenti si inserivano in un contesto di reciprocità e non erano idonei a concretizzare la fattispecie dell’art. 660 cod. pen., non potendo le condotte essere ritenute petulanti e biasimevoli. Ne conseguiva la riqualificazione dell’aggressione, verbale e gestuale, posta in essere dall’imputato quale ingiuria (art. 594 c.p.), con la conseguente assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato (abrogato nel 2016).
Contro questa sentenza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo la violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata. Secondo il Procuratore, la decisione non ha fornito una spiegazione esaustiva delle ragioni che impedivano di formulare un giudizio di colpevolezza nei confronti dell’imputato per il reato previsto dall’art. 660 c.p.
La Corte ha ritenuto il ricorso fondato indicando che il Tribunale ha omesso di considerare le connotazioni di riprovevolezza dei comportamenti dell’imputato, rese evidenti dai toni verbali tracotanti con cui si rivolgeva alla collega, che venivano accompagnati a gesti a sfondo esplicitamente sessuale. I giudici, in proposito, hanno richiamato il seguente principio di diritto: “Integra il reato di molestie o disturbo alle persone di cui all’art. 660 cod. pen. la condotta consistente nel rivolgere alla persona offesa battute a sfondo sessuale ed insistenti domande attinenti alla sua sfera intima”.
La Corte ha indicato che, al contempo, non si teneva conto delle differenze esistenti tra la fattispecie dell’ingiuria e quella della molestia, che venivano erroneamente assimilate, senza considerare che le relative condotte, pur presentando profili di similitudine, non sono sovrapponibili, distinguendosi per i beni giuridici protetti. Infatti, secondo i giudici: “L’ingiuria tutela il bene giuridico dell’onore, inteso come insieme delle qualità morali della persona offesa; mentre, la molestia, ha una natura plurisoggettiva, tutelando sia il bene giuridico della tranquillità pubblica sia quello della tranquillità del privato. Né, tantomeno, tra le due condotte sussiste un rapporto di specialità, non essendovi alcuna corrispondenza tra i beni giuridici protetti e i comportamenti descritti da tali fattispecie”.
Secondo la Corte, non assumeva, per altro verso, un rilievo decisivo la circostanza che le condotte contestate si siano verificate in una sola occasione. I giudici hanno, infatti, indicato che: “Il reato di molestia di cui all’art. 660 cod. pen. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri”. La Corte, per i motivi esposti, ha imposto l’annullamento della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio per nuovo giudizio al Tribunale.
- Art. 660 c.p. e Atti persecutori (art. 612 bis c.p.)
“La differenza tra atti persecutori e disturbo o molestia alle persone è che si configura il primo quando le molestie e le persecuzioni provochino un perdurante stato di ansia o paura nella persona offesa o la costringano a cambiare le sue abitudini di vita”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. V, dep. 13.02.2024, n. 6382, la Corte ha giudicato un caso di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. L’imputato avrebbe, per futili motivi, molestato e minacciato la vicina di casa, cagionandole un fondato timore per la propria incolumità tale da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita. Tra i motivi del ricorso la difesa contesta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermata responsabilità penale dell’imputato. I difensori ritengono che dalla sentenza impugnata non emergerebbe le concrete alterazioni delle abitudini intervenute, elementi necessari per la configurazione del reato di atti persecutori, potendosi piuttosto configurare il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 cod. pen. Il ricorrente ritiene che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi in merito allo specifico motivo di appello avanzato, concernente la richiesta di derubricazione nel reato di molestie o disturbo alle persone, non fornendo alcuna motivazione.
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte poiché, secondo i giudici, la sentenza impugnata ha correttamente chiarito che i fatti integrano perfettamente la fattispecie contestata (atti persecutori ex 612 bis) “dal momento che essi non si sono esauriti nella effettuazione di molestie o disturbi alle persone (art. 660 c.p.), essendo dalla condotta complessivamente tenuta dall’imputato scaturiti effetti sotto il profilo sia dei mutamento delle abitudini di vita che dello stato di ansia e paura, costituenti entrambi – in via alternativa – eventi propri del reato in argomento”. I giudici hanno sottolineato che la sentenza impugnata ha posto in evidenza i seguenti atteggiamenti della persona offesa: la necessità di percorrere strade alternative, più lunghe per recarsi al lavoro, per evitare di incontrare l’imputato, il farsi accompagnare da un’amica nel medesimo tragitto casa/lavoro e il referto di Pronto Soccorso ove la persona offesa si era recata durante un attacco d’ansia. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che la corte territoriale avesse correttamente applicato l’art. 612 bis, atti persecutori, in quanto gli elementi probatori riconducevano al reato e non a quello ex art. 660 c.p.