Rassegna su Reato di Maltrattamenti contro familiari e conviventi, art. 572 c.p. Aggiornamento a maggio 2024
La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione sul reato di “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” (art. 572 bis c.p.). Le pronunce sono state selezionate tra le 262 sentenze depositate tra gennaio e maggio 2024 in materia, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini e Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.
- Reato di maltrattamenti in presenza di condotte “reciproche”
“Nel reato di maltrattamenti, in caso di condotte reciproche queste non sono considerate forme di autotutela e non è applicabile alcun regime di ‘compensazione’ trattandosi di condotte tutte penalmente rilevanti”.
Con la sentenza Cass. pen., Sez. VI, dep. 20.03.2024, n. 16090, la Corte è stata chiamata a giudicare un caso di maltrattamenti in famiglia aggravato. La difesa ha eccepito, tramite ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza di una condotta abituale, idonea a integrare il reato di maltrattamenti. La difesa dell’imputato ha eccepito la mancanza di abitualità evidenziando che, in un quadro familiare conflittuale, erano stati contestualizzati solo due episodi che costituivano fatti occasionali e sporadici in cui vi era stato danno reciproco.
Il ricorso è stato giudicato dalla Corte inammissibile. In sede d’Appello era stato delineato un contesto familiare caratterizzato da insulti e vessazioni che la persona offesa aveva subito dal marito, culminando in due aggressioni fisiche che avevano coinvolto anche il figlio minore della coppia, intervenuto a difesa della madre.
Secondo i giudici: “Il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile, infatti, anche nel caso in cui le condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri poiché il reato di cui all’art.572 cod. pen. non prevede il ricorso a forme di sostanziale autotutela, mediante un regime di ‘compensazione’ fra condotte penalmente rilevanti e reciproche”.
- Differenza tra “liti familiari” e maltrattamenti in famiglia
“La linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta. Si consuma il delitto quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza – fisica o psicologica, della coartazione e dell’offesa e quando la sensazione di paura per l’incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due. Mentre ricorrono le ‘liti familiari’ quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista e, soprattutto, nessuno teme l’altro”.
La Suprema Corte si è pronunciata sul reato di maltrattamenti aggravati nella pronuncia Cass. pen., Sez. VI, dep. 12.03.2024, n. 17656. Tra i motivi del ricorso si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 192 e 533, cod. proc. pen., e art. 6 CEDU, e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello, sentita la sola persona offesa, ha ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado in assenza della doverosa motivazione rafforzata sia in ordine all’abitualità delle condotte vessatorie tenute dal ricorrente, da qualificarsi, secondo la difesa, come ‘liti familiari’ per motivi economici, sia rispetto al dolo del reato, non apprezzando le motivazioni utilizzate dal Tribunale.
Secondo la Corte, i giudici d’appello hanno correttamente qualificato i fatti come maltrattamenti in adesione all’orientamento consolidato della Corte in materia di violenza domestica, anche alla luce delle fonti sovranazionali (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77, detta Convenzione di Istanbul) e della giurisprudenza della Corte EDU (sentenze Talpis c. Italia del 2 marzo 2017, I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022; Landi c. Italia del 7 aprile 2022; M.S. c. Italia del 7 luglio 2022; De Giorgi c. Italia del 16 luglio 2022)
I giudici hanno stabilito che: “Nei maltrattamenti posti in essere in ambito domestico, il giudice non solo è tenuto a valutare gli episodi che ritiene soggettivamente più gravi, perché colpiscono l’integrità fisica o costituiscono specifici reati, ma deve valorizzare e descrivere, in modo puntuale, il contesto diseguale di coppia in cui si consuma la violenza, anche psicologica, praticata dall’autore ed il clima di umiliazione e paura che impone alla vittima”.
Aggiungendo che: “Al riguardo, la giurisprudenza più recente di questa Corte ha posto in rilievo il fatto che la confusione tra maltrattamenti e liti familiari avviene quando non si esamina e, dunque, non si valorizza l’asimmetria, di potere e di genere, che connota la relazione e di cui la violenza costituisce la modalità più visibile”.
I giudici, rigettando il ricorso, sottolineano come: “La linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta. Si consuma il delitto quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza – fisica o psicologica, della coartazione e dell’offesa e quando la sensazione di paura per l’incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due, soprattutto attraverso forme ricattatorie o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli della coppia. Mentre ricorrono le ‘liti familiari’ quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista e, soprattutto, nessuno teme l’altro”.
- Maltrattamenti in famiglia aggravati nel caso di persona offesa con disabilità
“Nel reato di maltrattamenti in famiglia, per l’applicazione dell’aggravante prevista nel comma 2, con riguardo a persona con disabilità, non richiede per la sua sussistenza il previo riconoscimento formale dello stato di disabilità, ma la presenza di una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabile o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. VI, dep. 27.02.2024, n. 11724, la Corte viene investita del caso di maltrattamenti in famiglia aggravato (art. 572, II comma, c.p.) di un uomo ai danni delle due figlie conviventi. La difesa, tra i motivi del ricorso, sostiene che è inapplicabile l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di persona con disabilità, essendo la figlia maggiore riconosciuta invalida civile e non disabile.
La Corte ha ritenuto il ricorso infondato argomentando come segue: “Invero, l’aggravante di cui all’art. 572, comma 2, cod. pen. riguardante «persona con disabilità come definita ai sensi dell’art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104» non richiede per la sua sussistenza il previo formale riconoscimento dello stato di handicap secondo le procedure della predetta legge, rinviando alla sola definizione della condizione personale. Secondo l’interpretazione della Corte della disposizione richiamata: «È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione»”.
- Elementi essenziali del reato di maltrattamenti in famiglia
“Gli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. sono l’abitualità delle condotte, ovvero condotte non sporadiche, un atteggiamento di contingente aggressività e azioni vessatorie idonee a ledere la personalità della persona offesa. Il contesto familiare o di convivenza sussiste in caso di stabile condivisione dell’abitazione, non necessariamente continuativa”.
Con la sentenza Cass. pen., Sez. V, dep. 09.01.2024, n. 11097, la Corte è stata chiamata a giudicare un caso in cui un uomo è stato condannato per avere maltrattato la convivente, con comportamenti aggressivi e violenti, percuotendola e procurandole lesioni, in presenza del figlio minore. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione.
Tra i motivi lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’esistenza del reato. In primo luogo, dalle dichiarazioni della persona offesa non emergerebbe il requisito della “convivenza”, necessario a integrare il reato. Le condotte ascritte all’imputato sarebbero isolate e mancherebbero sia il requisito dell’abitualità, sia il relativo elemento doloso. Infine, viene asserita l’insussistenza dell’aggravante di aver commesso il reato in presenza o in danno di un minore di anni diciotto (art. 572, II comma c.p).
Il ricorso è stato giudicato infondato. La Corte, per quanto concerne l’abitualità delle condotte, ha stabilito che il reato “è configurabile in presenza di comportamenti reiterati, ancorché non sistematici, i quali, valutati complessivamente, siano volti a ledere, con violenza fisica o psicologica, la dignità e identità della persona offesa, limitandone la sfera di autodeterminazione. Elementi essenziali di tale ipotesi criminosa sono, per un verso, l’abitualità delle condotte tipiche ovvero che esse non siano sporadiche e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima”.
Inoltre: “le condotte possono esplicitarsi in un contesto familiare ovvero di convivenza, ossia nell’ambito di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza d’affetti che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continua”.
La Corte si pronuncia anche sull’applicabilità o meno dell’aggravante ex art. 572, II comma, c.p., indicando che “è sufficiente che anche una sola delle condotte vessatorie sia stata posta in essere quando ricorra taluna delle indicate situazioni, ovvero la presenza del minore, per configurare l’aggravante”.
- Il requisito della convivenza nel reato di maltrattamenti
“È configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà”.
Con la sentenza Cass. pen., Sez. III, dep. 24.01.2024, n. 3023, la Corte è stata investita di un caso di maltrattamenti. La difesa, nei motivi del ricorso ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla convivenza tra il ricorrente e la persona offesa. La difesa lamenta che la sentenza d’appello abbia fatto riferimento ad una convivenza di due anni, laddove invece si era trattato di una relazione sentimentale tra soggetti giovani, del tutto inidonea a concretare il requisito della convivenza.
La Corte ha giudicato il ricorso infondato ed ha previsto che: “è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà”.