Rassegna sul Reato di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, art. 612 ter c.p. Aggiornamento a maggio 2024
La rassegna riporta la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (art. 612 ter c.p.). Le pronunce citate sono state selezionate tra le 61 sentenze depositate sulla materia tra gennaio e maggio 2024, secondo un criterio di rilevanza e di interesse per i temi di ricerca dell’Osservatorio. La rassegna è stata redatta da Martina Millefiorini ed Elettra Coppola, con la supervisione delle avv. Ivonne Panfilo e Tatiana Montella.
- Elementi essenziali del reato dell’art. 612 ter, I comma, c.p.
“Ai fini della configurabilità del delitto ex 612 ter, I comma, c.p. è sufficiente il dolo generico, e dunque la consapevolezza e volontà di consegnare, cedere, pubblicare o diffondere le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito che dovevano restare privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.
Nel 2024, con la pronuncia Cass. pen., Sez. V, dep. 15.05.2024, n. 19201, la Corte si è pronunciata su un caso di c.d. revenge porn.
Nei motivi del ricorso, la difesa lamenta che la decisione di condanna dell’imputato si sarebbe fondata su mere congetture, stante, peraltro, l’omesso rinvenimento sui suoi dispositivi del video a contenuto sessuale, né di traccia di uploads dello stesso sulla rete. La difesa rileva che neppure sarebbe stata accertata la data dell’ipotetico caricamento del video sul sito ‘Pornhub’, circostanza non irrilevante stante l’introduzione del delitto di cui all’art. 612-ter cod. pen. solo ad opera della legge 19 luglio 2019, n. 29 (c.d. Codice Rosso).
Quanto al secondo motivo, i difensori dell’imputato indicano che l’art. 612-ter cod. pen., rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, introdotto dalla legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso), punisce, nel primo comma, la condotta di chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. Pertanto, quello che caratterizza la condotta illecita è che la persona offesa, della quale viene violata la sfera più intima che costituisce il bene protetto dalla norma incriminatrice, non abbia prestato consenso alla divulgazione delle proprie immagini sessuali a soggetti differenti da quelli con i quali abbia realizzato le immagini o il video a contenuto sessualmente esplicito. In altri termini, non assumerebbe alcuna rilevanza, ai fini della configurabilità del delitto, la circostanza che la vittima abbia prestato il suo consenso a farsi ritrarre o riprendere nel video (come avvenuto ivi) oggetto di successiva divulgazione, purché il consenso, beninteso, non riguardi anche detta divulgazione. Su questo punto i difensori dell’imputato chiedono un chiarimento alla Corte, in quanto la persona offesa ha prestato il consenso a farsi ritrarre in video durante gli atti sessuali con l’imputato.
Sul punto la Corte ha argomentato che la fattispecie incriminatrice di cui al comma primo 612 ter è proprio quella che verrebbe in rilievo nel processo in esame, che attiene alla realizzazione da parte dell’imputato di un video con il proprio cellulare mentre era intento a consumare un rapporto sessuale con la persona offesa, video che è stato poi diffuso sulla rete, mediante il caricamento sul sito Pornhub. La Corte ha indicato che: “In una ipotesi siffatta, ai fini della configurabilità del delitto è sufficiente il dolo generico, e dunque la consapevolezza e volontà di consegnare, cedere, pubblicare o diffondere le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito che dovevano restare privati, senza il consenso delle persone rappresentate”. La Corte ha anche specificato che, nel II comma dell’art. 612 ter, è previsto che la stessa condotta possa essere posta in essere da un soggetto terzo che queste immagini o video abbia ricevuto da altri ed egli può essere chiamato a rispondere del delitto se ha ulteriormente diffuso le immagini o video, agendo con il dolo specifico di arrecare danno ai soggetti che vi sono rappresentati.
I giudici riassumono che: “In sostanza, l’art. 612-ter cod. pen. sanziona due fattispecie identiche per condotta (‘invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate’) e per oggetto materiale (‘immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati’), ma diverse per presupposto (nel primo caso, aver ‘realizzato o sottratto’, nel secondo caso, ‘aver ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video’) e per fine (irrilevante, nel primo caso, trovandoci quindi in presenza di fattispecie a dolo generico; essenziale, nel secondo caso, il fine di ‘recare nocumento’ alla vittima costituendo l’oggetto del dolo specifico). La norma sanziona, così, condotte di carattere plurioffensivo, che non comportano solo la lesione dell’onore e della reputazione della vittima, come, peraltro, si evince dalla collocazione sistematica del delitto – subito dopo le fattispecie di violenza privata, minaccia e atti persecutori – palesando un’oggettività giuridica che ricomprende l’area della libertà di autodeterminazione, anche sessuale, in una tutela della sfera intima della persona che si è reso necessario rafforzare a fronte del maggiore rischio di offesa ai beni protetti derivante dal massiccio utilizzo di mezzi informatici”.
L’imputato ha assunto che non vi è alcuna prova che il video sia stato caricato sul sito ‘Pornhub’ prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, il quale dato è però smentito dalle stesse allegazioni dell’imputato che, come la persona offesa, ha collocato la ripresa del video del rapporto sessuale tra i due nella data del 30 ottobre 2019. I giudici hanno quindi stabilito che non può dubitarsi che la condotta rientri nella norma incriminatrice, in vigore dalla data del 9 agosto 2019, perché il caricamento del video sul sito non può che essere cronologicamente successivo al momento della sua registrazione. La Corte ha, quindi, rigettato il ricorso.