Le ricerche dell’Osservatorio: Analisi dei Codici Anti-molestie nelle Università
Alcuni dati sulle molestie nei luoghi di lavoro e della formazione
Le molestie rappresentano una causa e una conseguenza delle diseguaglianze di genere e ostacolano chi le subisce in ogni ambito di vita, nella sfera pubblica e privata. Esse costituiscono ancora oggi un fenomeno particolarmente sommerso, legato all’affermazione di stereotipi di genere e al mantenimento di gerarchie dettate dalle strutture sociali eteropatriarcali[1]. Un recente studio condotto dall’ International Labour Organization (ILO) mostra che, su scala globale, nel contesto lavorativo il 22,8% delle persone occupate ha subito molestie di natura fisica, psicologica o sessuale[2]: le molestie sessuali colpiscono circa l’8,2% della popolazione femminile impiegata, a fronte del 5% di quella maschile[3]: sono maggiormente esposte alle molestie le donne, le ragazze, le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ e le persone migranti[4]. In Europa, circa una donna su due ha subito molestie sessuali dall’età di 15 anni, e più di una persona su cinque ha subito violenze e molestie di natura fisica, psicologica o sessuale sui luoghi di lavoro.
In Italia, in base agli ultimi dati pubblicati dall’ISTAT nel 2018, si stima che siano 8 milioni 816mila (il 43,6% della popolazione femminile) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale[5]. Se è vero che le molestie hanno luogo con maggior frequenza per strada o ad opera di sconosciuti, è in ogni caso molto frequente che queste abbiano luogo in ambito lavorativo assumendo la forma di ricatto sessuale: secondo la rilevazione ISTAT del 2015-16, sono circa un milione 173 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa sono state sottoposte a forme di ricatto sessuale per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per progredire nella propria carriera e che solo il 20% ne parla con qualcuno, mentre appena lo 0,7% sporge denuncia. Nonostante siano presenti pochi dati a riguardo, le molestie e i ricatti sessuali interessano anche il mondo della formazione[6]: segnala l’ISTAT che il 9.2% delle donne e il 5.2% degli uomini hanno subito molestie a scuola o all’università.
Il contrasto delle molestie sessuali nelle fonti
L’ordinamento italiano non prevede un reato specifico di molestia sessuale: il loro contrasto è legato all’adozione di codici di condotta da parte degli enti privati o pubblici e al risarcimento del danno in sede civile[7].
L’impulso a inserire strumenti di contrasto e prevenzione rispetto alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro è di derivazione europea. Risale al 1984 la prima Raccomandazione n.635 sulla promozione di azioni positive a favore delle donne[8], nella quale il Consiglio incoraggia gli Stati membri ad adottare misure riguardanti «il rispetto della dignità delle donne sul luogo di lavoro». Nella successiva Risoluzione del Parlamento europeo sulla violenza contro le donne dell’11 giugno 1986, il Parlamento europeo invita i Governi, le commissioni per l’uguaglianza delle donne e i sindacati all’elaborazione di campagne e codici di condotta che intervengano sul piano sanzionatorio, riconoscendo le molestie come una violazione dei diritti della persona[9].
Altra fonte rilevante in materia è la Raccomandazione 92/131/CEE della Commissione, del 27 novembre 1991, sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro: le molestie sono definite come «ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul sesso, compreso quello di superiori e colleghi, che offenda la dignità degli uomini e delle donne sul lavoro». La Raccomandazione specifica che le molestie costituiscono una forma di discriminazione e una violazione del principio di parità di trattamento nell’’accesso al lavoro e alla formazione. Essa indirizza gli Stati membri ad adottare nel settore pubblico dei codici di condotta su modello del codice in allegato alla raccomandazione, per la tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro elaborato dalla Commissione. Sulla scia del contenuto di tali strumenti di soft law, negli anni novanta in Italia la contrattazione collettiva inizia a prevedere la promozione di iniziative dirette alla prevenzione delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro[10], tuttavia, molto spesso alla stigmatizzazione delle molestie non corrisponde l’adozione di un vero e proprio codice come previsto dalla Raccomandazione del ’92[11].
Nei primi anni duemila, dunque, il legislatore europeo interviene nuovamente, questa volta tramite atti di natura vincolante. In primo luogo, la direttiva 2000/43/CE esplicita al paragrafo 2 che le molestie sono da considerarsi una forma di discriminazione. La successiva Direttiva 2002/73/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, sempre relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, specifica che le molestie costituiscono una violazione del principio di parità di trattamento e che gli Stati membri dovrebbero incoraggiare i datori di lavoro e i responsabili alla formazione professionale a prendere misure di contrasto e di prevenzione.
Un punto di svolta nel contrasto alla violenza di genere al livello paneuropeo è rappresentato dalla Convenzione di Istanbul del 2011, che all’articolo 40 definisce la molestia sessuale «qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona» che «crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». La Convenzione impone agli Stati parte di adottare misure legislative o di altro tipo per garantire la presenza di sanzioni penali o altre sanzioni legali contro le molestie.
A partire dal 2017, il Parlamento Europeo ha adottato diverse risoluzioni in materia di violenza di genere e di molestie sessuali sui luoghi di lavoro: esse, pur essendo meri atti di indirizzo, hanno l’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo di politiche e strategie di contrasto negli Stati membri e all’interno delle stesse istituzioni europee. La Risoluzione del Parlamento Europeo 26 ottobre 2017 segue la pubblicazione di una guida per i deputati del Parlamento dal titolo «Zero Harassment at the Work Place» in seguito alla fase di attivazione legata al movimento #MeToo intorno al tema delle molestie sul luogo di lavoro. La Risoluzione incoraggia gli Stati membri, ma anche «le imprese pubbliche e private ad adottare ulteriori misure per porre fine alle molestie sessuali in modo efficace e impedire che si verifichino sul luogo di lavoro e altrove», inoltre invita la Commissione e gli Stati al rafforzamento delle «capacità in termini di risorse umane degli enti nazionali per le pari opportunità che si occupano di vigilare sulle pratiche discriminatorie» e allo scambio di buone pratiche «per incoraggiare le imprese, le parti sociali e le organizzazioni per la formazione professionale a prevenire ogni forma di discriminazione basata sul genere». La successiva Risoluzione dell’11 settembre 2018 sulle misure per prevenire e contrastare il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici e nella vita politica nell’UE, estende il contenuto della Raccomandazione del 2017, incoraggiando gli Stati alla ratifica della Convenzione di Istanbul. Essa chiede inoltre «alla Commissione europea di presentare una proposta per il contrasto al mobbing e alle molestie sessuali sul luogo di lavoro, in pubblico e in politica, e di stabilire in essa una definizione aggiornata ed esauriente di molestia (sessuale e non) e di mobbing» e invita la Commissione e gli Stati, in collaborazione con Eurostat e EIGE a promuovere una raccolta organica dei dati pertinenti dando in ogni caso priorità «alla sensibilizzazione e al riconoscimento dei problemi, compiendo sforzi concertati di divulgazione delle informazioni e offrendo formazione». L’ultima risoluzione in materia, approvata il 1° giugno 2023, inquadra le molestie «nel contesto del potere maschile e di una più ampia diseguaglianza di genere», mettendo il fenomeno in relazione con gli stereotipi di genere e le strutture eteropatriarcali, le disuguaglianze strutturali e istituzionali. Quest’ultima prende atto dell’inadeguatezza dei mezzi messi in campo dal diritto dell’Unione Europea rispetto al contrasto delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro e in ogni altro ambito della società e specifica che le molestie «devono essere affrontate con un approccio intersettoriale». A riguardo si specifica che anche nei luoghi di studio, le molestie «hanno gravi conseguenze sulla capacità di apprendimento degli studenti e sulla loro salute fisica e mentale e hanno implicazioni che durano per tutta la vita, come la normalizzazione delle molestie sessuali».
Nell’ordinamento italiano una definizione di molestia è contenuta nella legge n. 198/2006, il Codice delle Pari Opportunità, che mira a contrastare le discriminazioni nell’accesso al lavoro, alla formazione, alle promozioni professionali e nelle condizioni di lavoro (art.27). L’articolo 26 della legge specifica che le molestie rappresentano una forma di discriminazione e che corrispondono a «quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». Costituiscono forme di molestie sessuali «quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo». Rientrano tra le discriminazioni i trattamenti meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti indesiderati o di esservisi sottomessi. Contro i divieti di discriminazione sono previsti rimedi in sede civile e amministrativa. Inoltre, il codice delle Pari Opportunità prevede al capo IV l’istituzione al livello nazionale, regionale e provinciale la nomina di una consigliera o un consigliere di parità (art.12) che svolgono funzioni di promozione e di controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione nel mondo del lavoro.
In ambito penale la definizione fornita all’articolo 40 della Convenzione di Istanbul può ricadere nel campo applicativo di diverse disposizioni: il reato di violenza sessuale (Articoli 609-bis e ss. c.p.) riguarda i soli casi di contatto fisico indesiderato di carattere sessuale che coinvolge genitali o zone erogene. L’articolo 610 disciplina l’ipotesi di violenza privata che corrisponde alla costrizione con violenza o minaccia a fare, tollerare od omettere qualche cosa. La condotta può anche ricadere nell’ambito applicativo dell’articolo 572 quando riguarda il contesto delle relazioni familiari. Ѐ inoltre prevista una sanzione civile di natura pecuniaria per chi «offende l’onore o il decoro di una persona», verbalmente o mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni (Art. 4, comma 1 lett. a) D. Lgs. n. 7/2016).
Oltre alla Convenzione di Istanbul nel 2013, l’Italia nel 2021 l’Italia ha ratificato la Convenzione OIL n.190 sulle molestie e le violenze nei luoghi di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019. La Convenzione OIL n.190 e la Raccomandazione n.206 sono le prime norme internazionali sul lavoro che forniscono un quadro organico rispetto alla prevenzione e all’eliminazione delle molestie. L’ambito di applicazione della Convenzione è esteso a tutti i soggetti nel mondo del lavoro, compresi tirocinanti, volontari o apprendisti (art.2). Ai sensi della Convenzione sono definite violenze e molestie un «insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere».
I Codici di condotta nei luoghi di lavoro e di studio
Nei luoghi di lavoro e nelle università italiane la prevenzione e il contrasto delle molestie si concretizza frequentemente nell’adozione di un codice ad hoc, che permette di disciplinare in modo organico la materia e di individuare gli obblighi specifici di tutela e le responsabilità in capo all’ente.
A partire dagli anni novanta, gli oneri individuati dalle Raccomandazioni europee rispetto alla tutela e al contrasto delle molestie sui luoghi di lavoro sono stati attuati principalmente intervenendo sulla contrattazione collettiva, tuttavia, molto spesso il contrasto delle molestie in quanto violazione della dignità sul luogo di lavoro: è però nel settore privato che la collaborazione tra operatori pubblici, privati e organizzazione sindacali permette l’adozione dei primi Codici di condotta in materia[12]. Nel contesto universitario un primo riferimento all’adozione di codici di condotta contro le molestie sessuali è contenuto all’ articolo 49 del CNNL relativo al personale del comparto Università per il quadriennio normativo 2002-2005, contenente anche uno schema di codice di condotta da adottare nella lotta alle molestie sessuali: tali disposizioni sono riferite esclusivamente al personale, tuttavia, gli Atenei hanno progressivamente esteso l’applicabilità del Codice di condotta a tutte le componenti della comunità universitaria.
Raccolta dei dati (aggiornati a giugno 2023)
Nelle pagine che seguono è proposta un’analisi comparativa del contenuto di diversi codici di condotta adottati negli atenei pubblici italiani nel contrasto e nella prevenzione delle molestie, e una mappatura dei codici attualmente vigenti. I dati della mappatura sono stati raccolti tra marzo e giugno 2023 con il contributo delle studentesse del corso della Clinica legale sul contrasto alla violenza di genere e alle discriminazioni multiple del dipartimento di giurisprudenza di Roma Tre e il supporto dell’organizzazione giovanile Rete della conoscenza. Tutti i regolamenti sono disponibili sui siti web degli atenei in ottemperanza agli obblighi di pubblicazione per finalità di trasparenza ai sensi del d.lgs. 33/2013.
Su 67 atenei pubblici:
- 43 dispongono di un regolamento ad hoc nel contrasto alle molestie e alle discriminazioni.
- 22 contengono singole disposizioni nei codici etici che menzionano esplicitamente le molestie o gli abusi
- 2 non contengono disposizioni specifiche sul contrasto alle molestie
- 51 dispongono di una consigliera di fiducia o una figura analoga
L’ambito di applicazione dei codici
I Codici si applicano a tutte le persone che studiano e lavorano a vario titolo negli Atenei. L’articolo 2 del Codice dell’Università degli Studi di Bari per la prevenzione delle molestie sessuali e morali (2007) propone un elenco particolarmente esteso dei soggetti a cui il codice è rivolto, precisando che esso si applica a «studentesse/studenti, docenti, dirigenti e personale tecnico-amministrativo, titolari di borse di studio italiani e stranieri, titolari di assegno o contratto, tirocinanti, dottorande/i e post dottorande/i, specializzande/i, tutte le persone che prestano la loro attività nell’Università di Bari anche in condizioni di precarietà».
Il quadro definitorio: molestie e discriminazioni dirette e indirette
Molti codici contengono definizioni distinte di cosa rappresenta una discriminazione diretta o indiretta, di molestia e molestia sessuale, che integrano i contenuti del quadro definitorio presente nel Codice delle pari opportunità[13]. Ad esempio, l’articolo 2 del Codice per la prevenzione di discriminazione molestie e mobbing dell’Università IUAV di Venezia (2022) specifica che costituisce una discriminazione diretta «qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento tale per cui una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe stata trattata un’altra persona in situazione analoga in ragione del sesso, dell’origine razziale, dell’etnia o dell’origine etnica, della religione e delle convinzioni personali, della disabilità o della condizione di salute, dell’età, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, delle condizioni personali o sociali». Rappresenta invece una discriminazione indiretta «qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento apparentemente neutro che metta o possa mettere determinate persone in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre a causa del loro sesso, dell’origine razziale, dell’etnia o dell’origine etnica, della religione e delle convinzioni personali, della disabilità o della condizione di salute, dell’età, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, delle condizioni personali o sociali». Anche il Codice di condotta per la prevenzione di ogni forma di discriminazione, molestia, mobbing nei luoghi di lavoro e di studio dell’Università degli Studi di Genova (2018) all’articolo 2 propone delle definizioni di discriminazione diretta e indiretta che permettono di estendere il campo applicativo alle discriminazioni motivate da fattori quali «il genere (incluse le ragioni connesse allo stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive e all’esercizio dei relativi diritti), della razza o dell’origine etnica, della religione, delle convinzioni personali, della disabilità, dell’età e dell’orientamento sessuale».
Relativamente alle definizioni di molestia, sempre il Codice dell’Università di Genova del 2018 individua come tale «qualsiasi comportamento indesiderato posto in essere per motivi di genere, razza o origine etnica, credo religioso o personale, disabilità, età, orientamento sessuale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona che lo subisce e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo», esplicitando che «la molestia è considerata come discriminazione».
Tale ampia definizione, è talvolta distinta dalla molestia sessuale e individuata come “molestia morale”, come nel caso del Codice per la tutela della dignità, il benessere delle persone e dell’organizzazione dell’Università degli studi di Milano-Bicocca (2016), il quale precisa che una molestia morale corrisponde a «ogni comportamento ostile, fisicamente o psicologicamente persecutorio, diretto contro una persona» e che «può configurarsi come molestia morale anche la discriminazione di genere, di appartenenza etnica, fondata sull’orientamento sessuale, sull’età, sulla diversa abilità o sulla diversa opinione politica, religiosa o sindacale». Alcuni codici comprendono nella molestia anche la minaccia o altre forme di ritorsione nei confronti di chi la subisce: il Codice di comportamento per la prevenzione e la tutela delle molestie morali e sessuali nell’ambiente di studio e di lavoro dell’Università degli studi dell’Insubria (2009) precisa all’articolo 1 che «è da considerarsi molestia anche ogni forma di ritorsione contro chiunque denunci comportamenti molestanti o se ne renda testimone». Molti codici individuano anche un elenco non esaustivo di condotte che rappresentano una molestia sessuale. L’articolo 6 del Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie morali e sessuali e il loro contrasto dell’Università degli studi di Bologna (2020), ad esempio, specifica che costituisce una molestia sessuale «ogni comportamento indesiderato, inclusi anche atteggiamenti di tipo fisico, verbale e non verbale, a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di discriminazione basata su sesso, identità di genere e orientamento sessuale e che offenda la dignità delle persone negli ambienti di lavoro e di studio» e che ne sono esempi: richieste implicite o esplicite di prestazioni sessuali offensive o indesiderate, contatti fisici indesiderati e fastidiosi, affissione e diffusione, anche in forma elettronica, di materiale pornografico negli ambienti di lavoro e studio universitari, apprezzamenti verbali a sfondo sessuale sul corpo o sull’orientamento sessuale offensivi e inopportuni, adozione di criteri sessisti in qualunque tipo di relazione interpersonale, promesse, esplicite o implicite, di agevolazioni e privilegi o avanzamenti di carriera, lavorativa o di studio in cambio di prestazioni sessuali, minacce o ritorsioni in seguito al rifiuto di prestazioni sessuali. Alcuni codici, come quello dell’Università di Bari, pongono l’accento sulla natura non consensuale dell’atteggiamento indesiderato: esso precisa, infatti, all’articolo 4 che «spetta a chi lo subisce stabilire quale comportamento sia da tollerare e quale invece da considerare offensivo».
Elementi aggravanti
Alcuni codici pongono come elemento aggravante l’esistenza di una posizione asimmetrica tra chi molesta e chi subisce la molestia: sempre il Codice dell’Università di Bari specifica che «Considerato il ruolo educativo dell’Università, assumono particolare gravità gli abusi o i fastidi sessuali da parte di docenti nei confronti di studenti/esse». Anche il Codice di comportamento dell’Università degli Studi di Bologna riconosce come vera e propria «circostanza aggravante della molestia sessuale l’esistenza di una posizione di svantaggio, asimmetria o subordinazione gerarchica tra la persona vittima di molestie e il presunto autore o la presunta autrice». Un aspetto talvolta problematico è rappresentato dalla reiterazione delle molestie, che in alcuni regolamenti ne rappresentano un elemento costitutivo: l’articolo 2 del Codice di condotta contro le molestie sessuali dell’Università degli studi Ca’ Foscari di Venezia rubricato «definizione e criteri di valutazione di molestie sessuali» specifica che è chi subisce la molestia a stabilire quale comportamento è «sconveniente» ma aggiunge anche che «di fatto è la natura indesiderata e/o reiterata della molestia sessuale che distingue la stessa dal comportamento amichevole, che è ben accetto e reciproco». Altri regolamenti pongono invece la reiterazione tra le circostanze di particolare gravità, come nel caso del Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie morali e sessuali e il loro contrasto dell’Università della Calabria (2021), il quale all’articolo 5 pone gli atti reiterati o inflitti sistematicamente tra gli atti particolarmente gravi.
La Consigliera/ Il Consigliere di fiducia
La figura della Consigliera di fiducia non è regolamentata da una legge, a differenza del Consigliere/della Consigliera di parità istituita in base al D.Lgs. n. 198/2006 su tutto il territorio nazionale, essendo istituite a livello provinciale, regionale e nazionale[14]. Il ruolo della Consigliera di fiducia è vigilare sull’applicazione e sulla diffusione dei Codici di condotta: si tratta di una figura generalmente individuata tra persone esterne agli Atenei, in possesso di esperienza e competenze professionali specifiche rispetto al proprio ruolo di garanzia e di intervento, che agisce secondo i principi di imparzialità, autonomia, correttezza e riservatezza[15].
La Consigliera/il Consigliere di fiducia ha generalmente il dovere di fornire consulenza, assistenza e informazione a chi vi si rivolge. L’articolo 8 del Codice di condotta per la tutela della dignità della persona e la prevenzione di ogni forma di discriminazione, molestia morale, sessuale, mobbing dell’Università degli studi della Basilicata (2017) specifica ad esempio che il/la Consigliere/a «indipendente nel giudizio, è persona esterna all’Università» ed è «scelto/-a tra esperti/e in campo giuridico e sociale con esperienza umana e professionale in grado di svolgere il compito affidato; viene nominato/a con decreto rettorale, su richiesta del CUG, acquisito il parere del Senato Accademico». Rispetto alle competenze richieste alla Consigliera è particolarmente significativo l’esempio dell’Università Ca’ Foscari, che in base all’articolo 4 del proprio regolamento prevede di norma «che le/i Consigliere/i siano due, una/o con esperienza in ambito psicologico, l’altra/o in ambito giuridico e preferibilmente esterni». L’articolo 8 delle Linee guida per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni e delle molestie nei luoghi di lavoro e di studio dell’università di Catania e vademecum sulle procedure di competenza del/la consigliere/a di fiducia Unict (2023) precisa che la Consigliera «nell’esercizio di funzioni di assistenza preliminare, informazione, istruttoria, mediazione e conciliazione, assicura un adeguato supporto professionale e canali dedicati di garanzia ai/alle componenti della comunità universitaria vittime di discriminazioni o molestie e interviene, previa espressa richiesta delle persone interessate, al fine di contribuire alla soluzione del caso» seguendo i principi di autonomia e riservatezza. Anche l’articolo 6 del Codice dell’Università Università degli studi di Bari precisa che la figura «deve possedere qualità umane e professionali che le/gli consentano di ricercare per ogni singolo caso sottoposto alla sua attenzione le soluzioni più adeguate» e che «nello svolgimento della sua funzione agisce in piena autonomia».
Generalmente la figura collabora con il Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora, contro le discriminazioni e di difesa degli studenti (CUG) e presenta a fine anno una relazione scritta sull’ attività svolta. Può proporre azioni di prevenzione e sensibilizzazione volte a favorire il rispetto dei prinicipi dei codici. In alcuni atenei come l’Università degli studi di Milano-Bicocca e l’Università degli studi di Napoli Federico II, in base ai codici contro le molestie, la figura della Consigliera è affiancata sa sportelli contro le molestie e il mobbing o sportelli di ascolto istituiti presso il CUG.
Gli aspetti procedurali
I regolamenti contro le molestie prevedono due diversi meccanismi procedurali: una procedura informale e una formale. Queste prescindono da eventuali procedimenti civili, penali o amministrativi e la loro attivazione è interamente vincolata alla sola volontà della parte offesa. Un aspetto critico è rappresentato dalla previsione in alcuni regolamenti di un termine massimo di 60 o 90 giorni in seguito al verificarsi della molestia per poter attivare una delle procedure, che può rappresentare un ostacolo nella ricerca di supporto da parte di chi subisce molestie nonché all’elaborazione del proprio vissuto personale: diversi regolamenti hanno dunque escluso o eliminato ogni limite temporale rispetto alla denuncia, come nel caso del Codice dell’Università di Bologna del 2020.
Alcuni Codici favoriscono la procedura informale, che prevede l’intervento della consigliera di fiducia e rappresenta una fase di mediazione in cui talvolta può essere anche proposto alla persona offesa un colloquio con l’autore della molestia. L’Università di Genova prevede all’articolo 6 del proprio codice un termine massimo di 90 giorni entro i quali il/la consulente di fiducia concorda con la persona interessata le modalità più idonee alla trattazione del caso e la porta a termine.
Solitamente, la procedura formale è attivata dall’amministrazione in seguito all’esperimento infruttuoso della procedura informale o dalla persona interessata, anche non ritenga opportuna la procedura informale, e prevede la formale denuncia dei fatti alla Rettrice/Rettore o al/alla Direttore/Direttrice generale in base alla competenza disciplinare. In questo caso l’amministrazione ha il compito di svolgere un accertamento e di adottare idonee sanzioni disciplinari in seguito all’esito positivo dell’accertamento. I profili sanzionatori sono tendenzialmente individuati dal vigente Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto Università (come esplicita ad esempio l’articolo 7 del Codice dell’Università degli studi dell’Insubria). Alcuni regolamenti prevedono l’istituzione di un’apposita commissione di valutazione per la procedura formale e ne esplicitano la composizione: il codice dell’Università di Ca’ Foscari prevede all’articolo 6 la formazione di una commissione ad hoc composta da «due rappresentanti dell’Amministrazione, da un/una rappresentante sindacale, e da due persone designate dal Comitato pari opportunità, nominati con decreto rettorale su indicazione dei rispettivi organismi. Vengono nominati tre componenti supplenti per sostituire gli effettivi in caso di impossibilità a partecipare o nelle ipotesi di incompatibilità, determinata da un coinvolgimento diretto nella vicenda oggetto di indagine o da rapporti di amicizia o di parentela con il denunciante- denunciato». La commissione è vincolata a risolvere con tempestività la questione: in base al regolamento la procedura si deve concludere nel termine di 45 giorni, e deve essere guidata dai principi di necessaria autonomia, obiettività e riservatezza. È inoltre specificato che, per evitare forme di vittimizzazione secondaria, «a chi presenta denuncia e a chi fornisce testimonianza deve essere evitato di effettuare un’esposizione ripetitiva o inessenziale dei fatti». Inoltre la Commissione valuta l’opportunità di far adottare all’Amministrazione il provvedimento dell’allontanamento cautelare dal posto di lavoro di uno o più soggetti coinvolti, e si specifica che in nessun caso potrà essere allontanato il soggetto che ha sporto denuncia.
[1]Si veda la Risoluzione del Parlamento europeo del 1 giugno 2023
[2]ILO, Experiences of violence and harassment at work: A global first survey, Geneva, (2022) p.12
[3]Ivi p.24
[4]Ivi p.28-30
[5]ISTAT, Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro (2018) <https://www.istat.it/it/files/2018/02/statistica-report-MOLESTIE-SESSUALI-13-02-2018.pdf>
[6]Si veda la Relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere (2018), p.348-351
[7]F. Anastasia, Le molestie sessuali nelle voci delle vittime. Una ricerca qualitativa in P. Romito (a cura di) Molestie sessuali: che fare? Una ricerca promossa dal CUG dell’Università di Trieste P.108
[8]84/635/CEE: Raccomandazione del Consiglio del 13 dicembre 1984 sulla promozione di azioni positive a favore delle donne
[9]Risoluzione sulla necessità di organizzare una campagna a livello dell’Unione europea per la totale intransigenza nei confronti della violenza contro le donne, Gazzetta ufficiale n. C 304 del 06/10/1997, p. 0055
[10]Si veda ad esempio il contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli addetti all’industria metalmeccanica privata e alla installazione di impianti (5 luglio 1994) < https://www.fiom-cgil.it/net/images/CCNL/INDUSTRIA/1994_07_05-ccnl_industria-fim-fiom-uilm.pdf >
[11]S. Perini, Molestie sessuali negli ambienti di lavoro e di studio. Ricognizione della legislazione e delle linee di indirizzo italiane ed europee, della casistica, anche giurisprudenziale, e indagine delle prospettive di riforma in Molestie sessuali: che fare? Una ricerca promossa dal CUG dell’Università di Trieste, p.44
[12]S. Perini, Molestie sessuali negli ambienti di lavoro e di studio. Ricognizione della legislazione e delle linee di indirizzo italiane ed europee, della casistica, anche giurisprudenziale, e indagine delle prospettive di riforma in Molestie sessuali: che fare? Una ricerca promossa dal CUG dell’Università di Trieste P.43 – 44
[13] L’articolo 25 del Codice delle pari opportunità (legge n. 198/2006) definisce discriminazione diretta «qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga». Si verifica una discriminazione indiretta «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché’ l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».
[14]S. Perini, op. cit., p.46
[15]Art. 4 del Codice per la prevenzione di discriminazione molestie e mobbing dell’Università IUAV di Venezia, 2022
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