Rassegna sul reato di violenza sessuale, art. 609 bis c.p. Aggiornata al dicembre 2023
Rassegna redatta da Martina Millefiorini con la supervisione dell’Avv. Maria Virgilio
La rassegna è suddivisa per argomenti così da facilitare la fruizione ed è organizzata sulla base della rilevanza delle pronunce per i singoli temi di interesse.
Anno 2023
Consenso e prova del dissenso
Nel 2023, con la nota pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 19599/2023 del 10.05.2023, la Corte, chiamata a giudicare su un caso di violenza sessuale di due uomini a danno di una minore, ha riassunto e fissato i precedenti orientamenti in materia di consenso, stabilendo che: “integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona” ovvero “ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso, ben potendo il reato essere consumato ai danni di persona dormiente”. Secondo questo orientamento, ogniqualvolta non vi sia consenso espresso in forma esplicita o implicita, si ricade nella fattispecie penale della violenza sessuale. Inoltre, nella medesima pronuncia, la Corte afferma che: “nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria”. E una tale prova contraria a carico dell’agente, circa l’errore sul consenso, è ammessa solamente qualora la persona offesa abbia manifestato in modo univoco, espressamente o in modo implicito, il suo consenso all’atto sessuale, non avendo rilievo la c.d. “presunzione del consenso” quando questo non sia stato manifestato in alcuna forma.
Anno 2022
Consenso e prova del dissenso
Per quanto concerne la valutazione della mancanza del consenso nel reato di violenza sessuale che si concretizza, nella pratica, nella c.d. “prova del dissenso”, la Corte di Cassazione ha assunto, a partire dal 2022, un orientamento univocamente indirizzato. Nella sentenza Cass. pen., Sez. III, sent. n. 1559/2022 del 17.01.2022, il fatto riguardava un uomo che aveva più volte, all’interno di una discoteca, toccato i glutei della persona offesa e le aveva, con il piede, toccato il pube mentre i due erano seduti all’interno del locale notturno. Nei motivi del ricorso la difesa dell’uomo aveva argomentato che egli non si era reso conto del dissenso della persona in quanto lei non lo aveva esplicitato. Inoltre, avendo agito in più momenti, egli supponeva che la donna avesse prestato il suo consenso a tutte le condotte successive nel tempo. Nella pronuncia, i giudici hanno affermato che: “per configurare l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente sia consapevole del fatto che non sia stato manifestato chiaramente il consenso da parte della vittima al compimento degli atti sessuali. È irrilevante l’errore sull’espressione del dissenso anche ove questi non sia stato esplicitato. Può fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solo quando l’errore si basa sul contenuto espressivo ed equivoco di positiva manifestazione di volontà da parte dell’offeso. Infine, è ormai pacifico che l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia in un errore inescusabile sulla legge penale”. I giudici, quindi, hanno stabilito che non è necessario che l’agente abbia agito in contrasto con un dissenso manifestato chiaramente dalla persona offesa, ma è sufficiente che egli sia consapevole che gli atti non siano stati espressamente voluti dalla medesima, ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo del reato. L’agente può sollevare il proprio errore sul consenso solamente quando vi sia stata una manifestazione chiara della volontà a compiere determinati atti sessuali da parte della persona offesa; in tutti gli altri casi, essendo la mancanza di consenso un requisito esplicito della fattispecie, si ricade nell’errore inescusabile sulla legge penale.
Il medesimo orientamento era già stato stabilito nella pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 37725/2021 del 19.10.2021 ed è stato ripreso nuovamente nel 2022 nella sentenza Cass. pen., Sez. III, sent. n. 3951/2022 del 04.02.2022. In quest’ultimo caso, l’imputato aveva baciato repentinamente sulla bocca la persona offesa la quale non aveva, inizialmente, manifestato alcun dissenso. La Corte, rigettando le domande della difesa, ha indicato che: “debbono intendersi commesse con violenza non solo le condotte che siano realizzate in dichiarato contrasto con l’opposta volontà del soggetto passivo, ma anche quelle realizzate in assenza di una dichiarazione di adesione ad esse da parte di quest’ultimo, vuoi perché le stesse sono state poste in essere con modalità improvvise e repentine atte a sorprendere l’altrui volontà ed a non consentire, pertanto, una tempestiva reazione oppositiva da parte del soggetto passivo del reato”. I giudici, pertanto, hanno stabilito che qualora la violenza sia compiuta attraverso atti c.d. “repentini”, ovvero quegli atti improvvisi avverso cui la persona non riesce immediatamente a esprimere il dissenso, anche quando questo sia manifestato in un secondo momento è valido e connota l’atto come violento.
Ed ancora, sempre nello stesso anno, con la pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 37916/2022 del 07.10.2022 i giudici hanno indicato che se il consenso è stato prima prestato e poi revocato, il primo consenso è considerato “mera occasione” e l’atto sessuale deve necessariamente essere considerato violento.
La Corte ha, pertanto, fissato un orientamento diventato oramai “granitico” per il quale il consenso nell’atto sessuale è necessario in tutto il suo svolgimento e se, in qualche modo, il dissenso non è stato immediato o manifestato in forme esplicite, permane comunque la violazione del consenso e la lesione della libertà e dell’autodeterminazione sessuale della persona offesa.
Atti sessuali
Secondo la Suprema Corte, requisito necessario affinché si integri la fattispecie della violenza sessuale (art. 609 bis, comma I) è il contatto fisico diretto con le c.d. “zone erogene” della persona offesa o dell’agente (anche definite “apparato sessuale”, “organi sessuali” e altri sinonimi). Un tale orientamento è stato fissato nella già citata sentenza Cass. pen., Sez. III, n. 37916/2022 del 7.10.2022 ove, nel caso di specie, è stata sanzionata la condotta masturbatoria dell’imputato in presenza della persona offesa, con contatto forzato – attraverso le mani- della zona considerata “erogena” (il pube) della donna. In questo frangente, la Corte ha indicato che: “integra il reato di violenza sessuale il compimento di atti di autoerotismo al cospetto della persona offesa solo ove coinvolgente la corporeità di quest’ultima”. Nella pronuncia la Corte intende con “corporeità della persona offesa” solamente le parti del corpo afferenti al c.d. “apparato sessuale”, ma esistono pronunce discordanti, come indicato nelle rassegne per gli anni 2019-2021, ove i giudici nomofilattici hanno ampliato questa definizione.
Nella sentenza Cass. pen., Sez. II, n. 17717/2022 del 4.05.2022 la Corte ha affermato che può configurarsi “tentativo di violenza sessuale” qualora, senza alcun contatto fisico, l’agente tenti di coartare la libertà sessuale della persona offesa. Nel caso preso in esame, l’imputato aveva minacciato la persona offesa, attraverso dei messaggi inviati con il telefono cellulare, al fine di ottenere del materiale ritraente il corpo della donna. Nella pronuncia i giudici hanno stabilito che “è configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale”. Nella sentenza Cass. pen., Sez. VI, n. 10626/2022 del 24.03.2022, i giudici configurano il tentativo di violenza nel caso di un uomo si era abbassato i pantaloni e aveva afferrato la persona offesa per un braccio spingendola verso un divano, pur senza riuscire ad entrare in contatto con quelle che la Corte definisce “zone erogene”. La difesa dell’imputato, proponendo ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia, aveva chiesto l’assoluzione dal reato di tentata violenza sessuale. I giudici hanno rigettato il ricorso e hanno stabilito che: “è configurabile il tentativo del reato previsto dall’art. 609-bis c.p. in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ne ha raggiunto le zone genitali o erogene ovvero non ha provocato un contatto tra le proprie parti intime e la vittima”. Nella pronuncia la Corte ha, pertanto, affermato nuovamente che affinché si configuri il reato di tentata violenza sessuale non è necessario che vi sia un contatto fisico diretto con le “zone genitali o erogene” delle parti.
La giurisprudenza dalla Corte estende ancora gli atti sessuali nell’applicazione dell’art. 600 ter c.p. (Pornografia Minorile). Nella pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 30416/2022 del 2.08.2022 (che riprende Cass. pen., Sez. III, sent. n. 9354/2020 del 09.03.2020) la Corte ha confermato la condanna ad un uomo che aveva ottenuto da una donna minorenne delle fotografie ritraenti il seno. Nei motivi della decisione i giudici hanno stabilito che: “per organi sessuali debbono intendersi non esclusivamente gli organi riproduttivi esterni, ma anche gli organi che, come i seni femminili, oltre a suscitare sulla base delle abituali risultanze proprie delle scienze sociali ed in conformità con un giudizio di ordinarietà statistica – il desiderio sessuale, forniscono, data la loro morfologia, indicazioni in relazione al genere di appartenenza del soggetto”. Dalla sentenza si evince che la definizione di atti sessuali (nell’art. 600 ter – pornografia minorile) non comprende solamente “gli organi riproduttivi esterni”, come indicano espressamente i giudici, ma anche quegli organi o quelle parti del corpo che, secondo un “giudizio di ordinarietà statistica” suscitano desiderio sessuale e che forniscono “indicazioni in relazione al genere di appartenenza del soggetto”.
Anno 2021
Il consenso negli atti sessuali “non convenzionali”
La Suprema Corte si è pronunciata sui c.d. “atti sessuali non convenzionali” nella pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 43611/2021 del 26.11.2021. Nel caso preso in esame, una donna con fragilità di tipo psichico aveva intrattenuto per un periodo prolungato una relazione con un uomo che era diventato anche il suo “mentore” nell’esplorare atti sessuali non convenzionali di tipo sadomasochistico. Durante il corso della relazione i due avevano avuti rapporti sessuali non convenzionali in cui la donna accettava supinamente gli atti desiderati ed imposti dall’uomo, secondo una pratica sadomasochistica decisa presuntivamente dai due e oggetto di consenso apparente della donna. La stessa, dopo un periodo di separazione dall’uomo, aveva deciso di denunciarlo per violenza sessuale. Nel giudizio di primo grado, presso il Tribunale di Forlì, l’uomo era stato condannato per un singolo episodio di violenza sessuale e, nel corso del giudizio di secondo grado, la Corte d’Appello di Bologna lo aveva assolto anche da quest’ultimo. Il Procuratore generale della Repubblica di Bologna e la difesa di parte civile della persona offesa avevano proposto ricorso per cassazione avverso l’assoluzione del giudice di seconde cure. I giudici nomofilattici hanno ritenuto il ricorso infondato ed hanno stabilito: “In tema di reati contro la libertà sessuale, gli atti sessuali «non convenzionali» possono essere ritenuti leciti nella misura in cui si svolgano in base ad un consenso dei partecipanti che deve protrarsi per tutta la durata degli stessi”. La Corte ha mantenuto ferma l’assoluzione decisa dai giudici bolognesi di secondo grado, ribadendo che la persona offesa non aveva mai negato il consenso agli atti sessuali “estremi” compiuti con l’uomo prima e durante il loro svolgimento, e nemmeno all’immediato termine. Una tale pronuncia sembra utilizzare una definizione “formale” di consenso, senza considerare eventuali altri elementi che possono concorrere alla formazione del volere di una persona, come hanno sottolineato la difesa di parte civile della donna e il Procuratore generale. Il Tribunale di Forlì aveva valutato diversamente il singolo episodio di violenza sessuale sanzionato. Infatti, il giudice di prime cure aveva stabilito che sebbene la donna avesse formalmente prestato il consenso agli atti sessuali, sia durante lo svolgimento sia dopo l’immediata conclusione, la particolare violenza di questi ultimi, la condizione di fragilità psichica della donna e il legame sentimentale tra i due (tale da rendere più difficile l’immediata opposizione della persona) giustificavano la condanna ex art. 609 bis, I comma, anche se il dissenso era stato espresso a distanza di anni.
Violenza sessuale in costanza di rapporto di lavoro
La Corte di Cassazione, nella sentenza Cass. pen., Sez. III, sent. n. 45123/2021 del 07.12.2021, si è espressa su violenze sessuali agite all’interno di rapporti di lavoro. Nel caso preso in esame, l’imputato controllava una squadra di vendemmiatori, in cui prestava servizio la persona offesa dal reato. L’uomo, mentre la donna svolgeva la sua mansione di raccolta dell’uva, l’aveva stretta alle spalle e le aveva cinto con entrambe le mani i seni finchè la stessa non si era liberata fuggendo dall’aggressione. La difesa dell’uomo aveva sostenuto che un tale atto non dovrebbe ricadere nella fattispecie della violenza sessuale in quanto mancherebbero sia la violenza e la minaccia sia l’elemento soggettivo del reato, ovvero la volontà di comprimere la libertà sessuale della persona offesa. La Corte, rigettando il ricorso e tutti i motivi della difesa, ha affermato quanto segue: “Ai fini della sussistenza del reato di violenza sessuale commessa da un preposto in danno di una lavoratrice sul luogo di lavoro, è sufficiente che l’atto posto in essere sia stato realizzato volontariamente dall’agente, nella consapevolezza della sua idoneità, sulla base degli ordinari canoni scientifici e di ragionevoli valutazioni di marca socio-culturale, a soddisfare il piacere sessuale ovvero a suscitarne lo stimolo, e quanto all’elemento soggettivo del reato, è sufficiente la consapevolezza dell’agente in ordine alla obbiettiva attitudine della condotta posta in essere ad incidere, violandola, sulla sfera di autonomia e libertà sessuale della vittima”. Pertanto, i giudici hanno stabilito che in presenza di un rapporto di lavoro ove incorra la subordinazione tra le parti, i parametri per valutare la presenza del reato di violenza sessuale sono l’idoneità della condotta a stimolare o soddisfare il piacere sessuale dell’agente, secondo valutazioni socioculturali (elemento oggettivo) e la consapevolezza di violare l’autonomia e la libertà sessuale della persona offesa (elemento soggettivo).
Consenso e prova del dissenso nei rapporti di coniugio con la presenza di maltrattamenti (art. 572 c.p.)
Nella sentenza Cass. pen., Sez. III, n. 1764/2021 del 18.01.2021 (che riprende Cass. pen., Sez. III, sent. n. 44956/2019 del 06.11.2019) un uomo era stato condannato per violenza sessuale sulla moglie nella cornice di una relazione ove vi erano anche maltrattamenti ex art. 572 c.p. Nei motivi del ricorso la difesa dell’imputato lamentava la violazione della legge penale (art. 609 bis, I comma) in quanto sarebbe mancato un dissenso esplicito (dalla difesa definito “resistenza”) all’atto sessuale da parte dell’ex coniuge ed egli non avrebbe colto, dunque, il dissenso poiché i due avevano avuto in precedenza, seppur raramente, altri rapporti sessuali. La Corte, nelle motivazioni della sentenza, ha ribadito che: “il rapporto sessuale fatto oggetto di contestazione fu consapevolmente imposto dall’imputato alla moglie – che manifestò il proprio dissenso, posto che da tempo i coniugi non avevano rapporti sessuali e vivevano da separati in casa – e fu da questa subito per paura di incorrere in ulteriori condotte maltrattanti (…)”. In tema di violenza sessuale all’interno di un rapporto ove incorrano anche i maltrattamenti, la Corte ha ribadito, seguendo un orientamento oramai consolidato, che l’imputato non può ricorrere all’errore sul consenso per scriminare la propria condotta in quanto la mancanza del dissenso esplicito da parte della persona offesa è causata dalla paura di subire ulteriori maltrattamenti (come già stabilito in Cass. pen., Sez. III, sent. n. 44956/2019 del 06.11.2019 e, nel 2023 in Cass. pen., Sez. III, sent. n. 11770/2023 del 18.01.2023).
Anno 2020
Concorso del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) e del reato di violenza sessuale
Nella pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 35700/2020 del 14.12.2020, il caso sottoposto alla Corte consisteva in violenze sessuali multiple perpetrate dal marito a danno della moglie durante la relazione, accompagnate ad altri tipi di violenze fisiche e psicologiche. La Corte d’ Appello di Ancona aveva configurato il concorso del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) e del reato di violenza sessuale (609 bis c.p.). La difesa dell’imputato proponeva ricorso per cassazione chiedendo la riduzione della pena in quanto, secondo l’interpretazione dei difensori, il reato di maltrattamenti sarebbe stato assorbito dal reato di violenza sessuale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso e, in accordo con quanto deciso dal giudice di seconde cure, ha stabilito che: “Il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre vi è concorso tra i due reati in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza (sessuale).” La Corte, inoltre, ha specificato che il bene giuridico tutelato dal reato di violenza sessuale è la libertà di autodeterminazione sessuale della persona offesa, che non coincide con quello del reato di maltrattamenti che è l’incolumità e il benessere fisico e psichico della persona. Pertanto, nel caso di specie, la Corte ha valutato la lesione di diversi beni giuridici e il concorso del reato di violenza sessuale e del reato di maltrattamenti.
Atti sessuali
La Corte di Cassazione si è espressa più volte nel corso dell’anno 2020 sulla definizione di “atti sessuali” indicati all’art. 609 bis, I comma. Nell’importante sentenza Cass. pen., Sez. III, sent. n. 36910/2020 del 22.12.2020, un uomo aveva costretto mediante minaccia una ragazza minorenne a inviargli su WhatsApp delle foto in cui si ritraeva nuda e dei video in cui compiva atti di autoerotismo. La Corte d’ Appello di Torino aveva escluso l’applicazione del reato di violenza sessuale (art. 609 bis, comma I), in quanto mancava il contatto fisico diretto tra l’uomo e la minore. La Suprema Corte ha invece ribaltato la decisione di secondo grado indicando che: “Ai fini della definizione di atti sessuali di cui all’art. 609-bis c.p., non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l’atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato ed idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell’individuo nella prospettiva dell’agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale”. La Corte ha, pertanto, stabilito che rientrano nella definizione di “atti sessuali” non solamente quelli in cui vi sia un contatto fisico diretto con la “corporeità sessuale” della persona offesa o dell’agente ma anche quelli che coinvolgono solamente la “corporeità sessuale” della prima, come nel caso degli atti di autoerotismo imposti alla minore. Ancora in tema di definizione di atti sessuali, nella pronuncia Cass. pen., Sez. III, sent. n. 8788/2020 del 04.03.2020, la Corte ha condannato per violenza sessuale un uomo che aveva schiaffeggiato i glutei di una donna in un luogo pubblico. I giudici hanno stabilito che: “In tema di reati sessuali, la condotta vietata dall’art. 609-bis c.p. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la sua libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell’agente e neppure l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale”. Nella pronuncia è stabilito che per la determinazione dell’atto come sessuale è necessario il coinvolgimento della corporeità sessuale della persona offesa e non rileva che l’autore abbia la finalità o ottenga l’effettivo soddisfacimento del piacere sessuale, né che l’atto sia stato prolungato nel tempo. Ciò che rileva per i giudici è che l’atto sia idoneo a provocare la riduzione o la coartazione della libertà di autodeterminazione della sfera sessuale della persona offesa. Nella sentenza Cass. pen., Sez. III, sent. n. 2201/2020 del 21.01.2020 i giudici nomofilattici si sono pronunciati nuovamente sul tema della definizione di atto sessuale, a seguito del ricorso di un uomo condannato per violenza sessuale, con applicazione del caso di minore gravità ex art. 609 bis comma III, che aveva dato un bacio sulla bocca alla persona offesa (con contatto delle sole labbra). Nei motivi del ricorso è stato sostenuto che un tale atto non poteva essere considerato “sessuale” in quanto non aveva coinvolto alcuna c.d. “zona erogena” o “organi riproduttivi”. La Corte, invece, ha rigettato il ricorso ed ha stabilito: “In merito all’imputazione per il reato di violenza sessuale, va qualificato come «atto sessuale» anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto”. I giudici hanno deciso che il bacio sulle labbra può essere considerato atto sessuale rientrante nella fattispecie dell’art. 609 bis, in quanto atto con valenza erotica. Con questa decisione i giudici hanno nuovamente allargato la definizione di “atti sessuali” comprendendo anche quelli che non coinvolgono esclusivamente le parti del corpo con c.d. “funzioni riproduttive” o le c.d. “zone erogene”.
Anno 2019
Consenso e prova del dissenso nei rapporti di coniugio in presenza di maltrattamenti (art. 572 c.p.)
Nella sentenza Cass. pen., Sez. III, sent. n. 44956/2019 del 06.11.2019, la Corte di Cassazione, in ambito della prova del dissenso per la configurazione del reato di violenza sessuale tra coniugi ex art. 609 bis, con la compresenza del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., ha stabilito che: “Il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali”.
Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, la difesa dell’imputato aveva proposto ricorso, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo, chiedendo l’assoluzione dal reato di violenza sessuale sulla base del presunto consenso della ex moglie all’atto sessuale. Nel ricorso venivano proposti i seguenti motivi: il lungo lasso temporale trascorso tra il fatto e il momento nel quale la ex moglie aveva sporto denuncia per il reato di violenza sessuale (a più di un anno dalla separazione) e, pertanto l’inattendibilità della denuncia; il comportamento dell’imputato sempre positivo nei confronti delle figlie, come riconosciuto dalla stessa parte offesa, anche se le stesse avevano assistito a diversi episodi di maltrattamenti nei confronti della madre; la presunta sporadicità con cui l’uomo agiva i maltrattamenti e gli abusi sessuali nei confronti della ex moglie. I giudici hanno rigettato il ricorso e, come esplicitato nella massima menzionata, hanno affermato che la mancanza di chiari elementi verbali o fattuali di dissenso non ha valore di scriminante in un rapporto coniugale ove sono presenti maltrattamenti; infatti, la mancanza di dissenso espresso da parte della donna è giustificata dalla “compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli”.
Nello stesso anno e in un caso speculare al precedente, la Corte si è pronunciata nuovamente in Cass. pen., Sez. III, n. 17676/2019 del 29.04.2019, stabilendo di nuovo lo stesso orientamento: “in tema di violenza sessuale, il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali”.
Atti sessuali
La Corte, nella sentenza Cass. pen., Sez. III, n. 43423/2019 del 23.10.2019 ha considerato il “bacio sulla guancia” quale condotta adatta a configurare reato di violenza sessuale consumata (art. 609 bis, I comma). Nel caso preso in esame, un professore di educazione fisica aveva abbracciato e baciato sulla guancia, tentando di arrivare alla bocca, un’alunna che aveva prontamente reagito. Il fatto avveniva all’interno degli spogliatoi dedicati alle donne all’interno dell’istituto scolastico. Nella pronuncia, la Corte ha ricordato che il bacio sulla guancia configurerebbe tentativo di violenza, e non violenza consumata, in quanto: “ai fini della configurabilità del tentativo, tornando alla specifica contestazione della difesa, vale per i toccamenti il principio secondo il quale questi debbano considerarsi atti idonei in modo non equivoco a ledere la libertà sessuale della vittima ove riguardino parti corporee diverse da quelle genitali od erogene allorché, per cause indipendenti dalla propria volontà (pronta reazione della vittima o per altre ragioni), l’agente non riesca a toccare la parte corporea intima della persona presa di mira ovvero non abbia provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime” (richiamando Cass., pen., Sez. III, n. 17414/2016 del 28.04.2016). In questa parte delle motivazioni la Corte ha indicato che gli “atti sessuali” idonei a configurare il reato di violenza sessuale consumata ex art. 609 bis, comma I, sono quelli ove vi sia un contatto fisico diretto con le c.d. “zone genitali o erogene” della persona offesa o dell’agente. Gli altri atti diretti a raggiungere quelle stesse parti dovrebbero configurare solo il tentativo di violenza sessuale. Tuttavia, in questo caso, i giudici nomofilattici hanno allargato questo orientamento, stabilendo che “in tema di reati sessuali, il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, in base ad una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, possa ritenersi che abbia inciso sulla libertà sessuale della vittima”. Pertanto,i giudicihanno rigettato il ricorso proposto dall’imputato, valutando che il bacio sulla guancia dato dal professore di educazione fisica all’interno dello spogliatoio all’alunna, considerando il contesto e il rapporto tra i soggetti coinvolti, deve invece essere considerato violenza sessuale non tentata ma consumata.
Sempre in tema di definizione di atti sessuali, nello stesso anno la Corte si è pronunciata ancora in modo innovativo, stabilendo che rientrano nella fattispecie di reato anche quelle condotte ove non vi sia un contatto fisico diretto con le c.d. “zone erogene” (o “organi sessuali”) della persona offesa o dell’agente. Infatti, in Cass. pen., Sez. III, sent. n. 25309/2019 del 07.06.2019, un uomo aveva condotto atti masturbatori senza toccare la persona offesa (minorenne) su di un autobus. L’uomo aveva guardato insistentemente la ragazza per poi eiaculare vicino a lei, che non aveva potuto sottrarsi e fuggire in quanto l’unica via di fuga era bloccata dall’uomo stesso. I giudici hanno applicato l’art. 609 bis stabilendo che: “in tema di atti sessuali, la condotta vietata dall’art. 609 bis c.p. è quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite, ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva; in definitiva, l’antigiuridicità della condotta resta connotata da un requisito soggettivo (la finalizzazione all’insorgenza o all’appagamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale) che si innesta sul requisito oggettivo della concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a eccitare o a sfogare l’istinto sessuale del soggetto attivo; ne consegue che la condotta vietata dall’art. 609 bis c.p. ricomprende dunque, se connotata da costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona ovvero abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica, oltre a ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, anche se non esplicato attraverso il contatto diretto con le zone erogene della vittima, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà del soggetto passivo attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente”. I giudici nomofilattici hanno perciò stabilito che anche qualora non vi sia un contatto fisico diretto con le c.d. “zone erogene”, se la condotta pone in pericolo il bene primario della libertà di autodeterminazione sessuale della persona offesa, è configurabile il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis, comma I.
Il “caso di minore gravità” ex art. 609 bis, comma III
La Suprema Corte, nel 2019, si è pronunciata anche sull’applicazione del caso di violenza sessuale “di minore gravità” previsto dall’art. 609 bis, comma III, che prevede una diminuzione della pena non oltre i due terzi.
In Cass. pen., Sez. III, sent. n. 36372/2019 del 23.08.2019 la difesa dell’imputato aveva proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma ove egli risultava condannato per violenza sessuale ai danni di una minorenne, la quale aveva reagito ferendo l’uomo con un coltello “a serramanico” (c.d. “coltellino svizzero”) che teneva con sé nello zainetto. Nei motivi del ricorso veniva indicato che la condotta era consistita nell’afferrare la ragazza, palpeggiarle il seno e tentare di toccarle la vagina senza riuscirci, in quanto la donna aveva reagito inferendo all’agente una ferita con prognosi di 30 giorni; pertanto, egli chiedeva l’applicazione del “caso di minore gravità” ex art. 609 bis, III comma, e la conseguente riduzione della pena. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso stabilendo che: “In tema di violenza sessuale, la reazione violenta posta in essere dalla persona offesa per impedire il protrarsi della condotta dell’autore del reato ed il conseguente danno riportato da quest’ultimo non rilevano quanto alla circostanza attenuante del fatto di minore gravità, dovendo aversi riguardo, ai fini della graduazione della gravità del reato, esclusivamente alla violenza subita dalla vittima”. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto inapplicabile la circostanza attenuante indicando che a tali fini non rileva l’eventuale reazione della persona offesa alla violenza subita ma solamente la minore rilevanza della violenza in sé. Ed in questo caso i giudici nomofilattici hanno ritenuto del tutto applicabile la fattispecie della violenza sessuale consumata ex art. 609 bis, comma I, senza alcuna circostanza attenuante, in quanto la persona offesa (minorenne) era stata pedinata, afferrata, spinta e palpeggiata ripetutamente in luogo pubblico.
Sull’applicazione dell’attenuante della minore gravità, la Corte si è pronunciata nuovamente nel corso dell’anno, interpellata avverso una sentenza della Corte di Appello di Torino. In Cass. pen., Sez. III, sent. n. 25728/2019 dell’11.06.2019, il giudice di seconde cure aveva applicato l’attenuante della minore gravità del fatto al caso di una violenza sessuale perpetuata da un giovane appena maggiorenne all’interno di una discoteca a danno di una ragazza minorenne con diverse patologie quali l’epilessia e altre sindromi di natura psichica. La Corte d’Appello aveva fatto riferimento all’art. 133 c.p., II comma (personalità dell’autore), ovvero il carattere del reo (la giovane età), la condotta di vita (era incensurato) e le condizioni di vita individuali, familiari e sociali per giustificare l’uso della scriminante ex art. 609 bis, comma III. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione affermando: “In un caso di violenza sessuale, per poter qualificare il fatto come di “minore gravità” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p. si deve necessariamente tenere conto della oggettività dell’evento e non si può attribuire rilievo alla personalità del reo, dovendosi quindi tenere conto solo dei parametri di cui al primo comma dell’art. 133 c.p. e non anche di quelli di cui al secondo comma”. Pertanto, la Corte ha cassato la sentenza nella parte in cui applica l’attenuante della minore gravità e ha previsto la possibilità di una sua configurazione esclusivamente qualora si tenga conto dell’evento, ovvero utilizzando i criteri previsti dall’art. 133 c.p., comma I: “1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa”. L’utilizzo della scriminante ex art. 609 bis, comma III, non è invece possibile sulla base del comma II dell’art. 133 c.p., ovvero la personalità del reo, in quanto questi elementi possono avere rilievo solamente rispetto alla commisurazione della pena.
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