Approfondimento. Il consenso nella giurisprudenza della Corte di Cassazione: Note su Cass. Sez. III, n. 19599/2023, di Avv. Maria Virgilio
Cass. Sez. III, n. 19599/2023, data udienza 19 aprile 2023, data deposito 10 maggio 2023.
Giudici: Pres. Ramacci; rel. Reynaud
Parole chiave:
Vizio di motivazione – Motivazione rafforzata – Regole di comune esperienza nei delitti a base sessuale – Attendibilità intrinseca ed estrinseca – Progressione dichiarativa – Autodifesa degli imputati – Rinnovazione istruttoria – Vittimizzazione secondaria – Manifestazione del dissenso – Assenza del consenso – Errore sul dissenso inescusabile – Inesistente onere di espressione del dissenso
Fatto:
Violenza sessuale di gruppo con penetrazione e orale nei confronti di una minorenne di anni 15. Gip L’Aquila, in abbreviato, condanna a quattro anni. Corte Appello L’Aquila assolve perché il fatto non sussiste.
Diritto:
Il compito del giudizio di legittimità non è stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la “migliore possibile” ricostruzione dei fatti, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Cass. Sez. 5, sent. n. 1004, ud. 30.11.1999, dep. 31.01.2000, Moro, Rv. 215745).
Il vizio di motivazione intanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Cass. Sez. U., sent. n. 16, ud. 19.06.1996, Di Francesco, Rv.205621; Cass. Sez, 3, sent. n. 46475, ud. 13.07.2017, Zeppola, non massimata sul punto).
Il lamentato vizio logico deve essere altresì “decisivo”, ovvero idoneo ad incidere sul compendio indiziario così da incrinarne la capacità dimostrativa, non potendo il sindacato di legittimità, riservato a questa Corte, dilatarsi nella indiscriminata rivalutazione dell’intero materiale probatorio che si risolverebbe in un nuovo giudizio di merito. Il vizio in esame, essendo la contraddittorietà logica intrinseca al testo stesso del provvedimento impugnato, comporta pertanto un esame in sede di legittimità limitato al controllo sul se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (Cass., Sez. U., sent. n. 6402, ud. 30.4.1997, Dessimone, Rv 207944; Cass., Sez. 2, sent. n.30918, ud. 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441; Cass., sez. 1, ud. 16.11.2006, sent. n. 42369, De Vita, Rv.235507; Cass., Sez.4, sent. n. 4842, ud. 2.12.2003, Elia, Rv 229369).
Se tale è il principio generale (la cui applicazione comporterebbe l’inammissibilità dei motivi di ricorso relativi alla valutazione di attendibilità della persona offesa), la giurisprudenza della Corte ha tuttavia previsto regole più stringenti per il caso di overturning tra la sentenza di primo grado e quella di appello, imponendo sui giudici del merito un obbligo di “motivazione rafforzata“.
I dati oggettivi scaturenti dalla messe probatoria andavano confrontati, singolarmente e poi unitariamente, con quegli indici rivelatori che presentano una “regolarità” di presenza nella realtà fenomenica e possano, secondo un giudizio probabilistico, costituire rappresentazione di una “regola”, sempre suscettibile di essere superata qualora risultasse fallace (ossia quando dovesse comparire un c.d. “cigno nero”).
Nel caso dei delitti a base sessuale, gli elementi più frequentemente ricorrenti e tali da assurgere a regole di comune esperienza (ovviamente a titolo esemplificativo e non esaustivo) sono costituiti dalla presenza di tracce genetiche o liquido seminale sulla persona o sugli indumenti della persona offesa; di lesioni od ecchimosi nelle zone attinte da violenza o comunque sul corpo della persona offesa; di sanguinamento dalla zona anale o genitale, soprattutto in caso di deflorazione; dalla presenza di malattie trasmissibili per via sessuale; dalla lacerazioni negli indumenti; da cambiamenti nel comportamento o nell’umore della persona offesa.
Il corretto percorso logico consiste, quindi, nel valutare il dichiarato della persona offesa dovendo il giudice:
1) Procedere all’analisi della “capacità a testimoniare”, da intendersi come l’abilità soggettiva a recepire le informazioni, ricordarle, raccordarle e riferirle in modo coerente e compiuto, che è presunta fino a prova del contrario (Cass., Sez. 3, sent. n. 43898, ud. 3.10.2012, L.T.U., n.m.), salvo che ricorrano specifiche situazioni che possano porla in dubbio (ad esempio: l’età del dichiarante e le sue particolari condizioni psichiche).
2) Procedere alla disamina della “credibilità” soggettiva, onde verificare che il narrato non sia inquinato da situazioni, attinenti alla sfera personale del dichiarante, in grado di alterarne, finanche in maniera inconsapevole, la genuinità; come è noto, le persone vulnerabili, soprattutto se in tenera età, possono divenire malleabili in presenza di suggestioni esterne, arrivando a conformarsi alle aspettative dell’interlocutore quando interrogati. A tal proposito, di particolare rilievo appare l’analisi del c.d. “disvelamento”.
3) Procedere al vaglio della attendibilità “intrinseca” (intesa come capacità del racconto di offrire una rappresentazione coerente e logicamente congrua degli eventi evocati); in proposito la Corte rinvia al fenomeno della c.d. “progressione dichiarativa”.
4) Considerare, ove presenti, i riscontri oggettivi al fine di valutare l’attendibilità “estrinseca” del dichiarato.
5) Incrociare tali risultanze con gli ulteriori elementi di prova o gli indizi forniti dalla prova testimoniale o materiale, in una sorta di ideale “prova di resistenza”; non può infatti dimenticarsi che gli stessi elementi esterni che fungono da riscontro estrinseco del dichiarato costituiscono essi stessi “indizi”, da valutare ai sensi dell’art. 192, comma 2, c.p.p. nei termini detti al par. 3.3 della sentenza.
6) Nel caso di overturning in appello, interpolare i propri risultati con quelli della sentenza di primo grado, dando atto analiticamente dei motivi per cui si intende ribaltare l’esito del processo.
Le dichiarazioni accusatorie raramente si presentano come immediatamente esaustive ed omogenee, in quanto le giovani persone offese non riescono a concedere immediatamente ed in un’unica soluzione l’intera rappresentazione dei fatti per cui si procede, anche in considerazione del fatto che si trovano a doversi confrontare con gli effetti del trauma primario denunciato e con gli esiti del trauma secondario scaturente dal processo. Lo svelamento è infatti (quasi sempre) progressivo e le dichiarazioni rese soprattutto dalla persona offesa minorenne nelle varie audizioni non sono (quasi mai) perfettamente sovrapponibili, ragion per cui l’attendibilità complessiva del dichiarato si ricava dall’ analisi congiunta, giudiziale e tecnico-psicologica, della progressione dichiarativa.
La Corte ha ritenuto che “è affetta dal vizio di manifesta illogicità la motivazione della sentenza nella quale la valutazione sull’attendibilità e credibilità delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali venga condotta esclusivamente riferendosi all’intrinseca coerenza del racconto, senza tenere adeguatamente conto di tutte le circostanze concrete che possono influire su tale valutazione” (Cass., Sez. III, n. 39405/2013).
In merito all’ autodifesa degli imputati, secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, sia il silenzio che la menzogna possono formare oggetto di una valutazione giudiziale negativa per l’imputato sotto il profilo probatorio, sia pure in modo estremamente limitato. Il silenzio può essere utilizzato dal giudice quale “argomento di prova”, o mero elemento integrativo di prove già acquisite; la menzogna, invece, quale “indizio” di reità ove corroborato da altri indizi gravi, precisi e concordanti. In buona sostanza entrambi gli elementi potrebbero al più costituire un “riscontro obiettivo” ad un quadro probatorio sfavorevole già sufficientemente delineato dall’accusa.
Costituisce vittimizzazione secondaria la decisione di riassumere in contraddittorio l’esame della persona offesa, già escussa in incidente probatorio; scelta che risulta ancor più “eccentrica” laddove si consideri che gli imputati avevano optato per il rito abbreviato. Tuttavia, la rinnovazione dell’istruttoria in appello è strumento espressamente previsto dall’art.603 c.p.p. sulla base di una valutazione discrezionale del requisito dell’indispensabilità, che è insindacabile in sede di legittimità.
Secondo costante giurisprudenza della Corte (vedi ex multis, cass., Sez. 3, sent. n. 22127, ud. 23.06.2016, Rv. 270500 – 01) “integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona. (Fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente).
La Corte ha altresì affermato (Cass., Sez. 3, sent. n. 7873, ud. 19.01. 2022, De Souza, Rv. 282834 02) che “l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Cass., Sez. 3, sent. n. 2400, ud. 05.10.2017, Rv. 272074 – 01; Cass., Sez. 3, sent. n. 17210, ud. 10.03.2011, Rv. 250141 – 01).
Inoltre, la Corte ha affermato in Cass., Sez. 3, sent. n. 12628, ud. 17.12.2019, che “non è ravvisabile in alcuna fra le disposizioni legislative introdotte a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 66 del 1996 , (…) un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato (…) un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimità sessuale, dovendosi al contrario ritenere(…) che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell’esclusione dell’offensività della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che quand’anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita” (riprendendo anche Cass., Sez. 3, sent. n. 49597, ud. 09.03.2016, Rv. 268186 – 01). In sostanza, nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria.
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